Perché metti la gonna? Nessuno ti guarda»: racconti di donne disabili

Perché metti la gonna? Nessuno ti guarda»: racconti di donne disabili

pubblicato in: NOTIZIE | 0
Il 40% ha subito maltrattamenti psicologici, la sessualità è un aspetto molto critico.
I dati sono frutto di una ricerca realizzata dall’Aias di Bologna per il progetto ’Risewise’

Perché ti metti una gonna o una scollatura? Tanto nessuno ti guarda». È una delle tante frasi che spesso si è sentita dire una delle intervistate da “Voci di donne”, una ricerca sulle barriere al femminile in Italia realizzata dall’Aias di Bologna all’interno del progetto europeo “Risewise”. Nonostante siano stati affrontati vari aspetti della vita quotidiana – come il lavoro, la residenzialità, l’accessibilità dei servizi e delle strutture -, la discriminazione e l’abuso, le relazioni sociali e la sessualità sono stati individuati come i temi cruciali dell’indagine, effettuata su 52 donne di tutte le età, in maggioranza con una disabilità motoria, provenienti da tredici regioni italiane. Il risultato? Il 69% ha detto di essere stata discriminata, il 40% di aver subito un maltrattamento psicologico, il 7,7% ha confessato di aver ricevuto un’attenzione fisica molto spinta o di aver subito una violenza. La sessualità, infatti, è un aspetto apparso molto critico per oltre la metà di loro. Il 60% del campione poi è single e vive da sola o in famiglia, un dato che potrebbe essere indicativo delle difficoltà di instaurare una relazione affettiva. Ma anche la violazione della privacy è stata spesso segnalata come un abuso (27%).

Il rischio maggiore? Tra le mura domestiche

La famiglia (32%), le strutture e i luoghi di cura (25%) sono invece gli ambienti in cui è risultato maggiore il rischio di essere maltrattate. Il 44% delle donne disabili che hanno risposto al questionario si è dichiarata occupata, ma la retribuzione e la gratificazione professionale sono risultati insoddisfacenti. Così come non piace nemmeno il trasporto pubblico, considerato inaccessibile per la metà delle intervistate. Se spostarsi in maniera autonoma è difficile, anche il dato relativo all’accesso alle informazioni sui diritti socio-sanitari è piuttosto allarmante: più del 30% del campione ha giudicato la possibilità di accesso insufficiente e il 40% lo ha valutato solamente sufficiente. Critica pure la frequentazione di attività sportive e culturali, come riportato da ben ventuno donne.

Poco spazio alla dimensione personale in rosa

«I dati raccolti confermano la necessità di dare un maggiore spazio, nelle ricerche, anche agli aspetti più privati e personali della vita delle donne disabili, in quanto è anche e soprattutto in questi ambiti che esse devono affrontare barriere culturali e sociali spesso alquanto difficili da superare. L’essere oggetto di cura da parte di qualcun altro a volte può essere problematico», commenta Valentina Fiordelmondo dell’Aias di Bologna, responsabile del progetto “Voci di donne”: il 20% delle intervistate, infatti, ha risposto che la famiglia si è occupata in modo eccessivo della loro disabilità, addirittura infastidendole. Alcune poi hanno affermato che certi atteggiamenti di genitori e parenti le hanno fatto sentire a disagio, quasi fossero un peso. «Bisogna comunque sottolineare che spesso gli atteggiamenti assunti dai familiari e dalle stesse persone disabili non sono intenzionali, ma derivano da una diversa prospettiva e da un diverso punto di vista, che varia da contesto a contesto».

Questioni di genere anche in Europa

«Il coinvolgimento diretto delle donne con disabilità nella costruzione degli strumenti di indagine è stato l’elemento chiave di tutto il progetto – spiega Fiordelmondo -. La formazione di un gruppo operativo è stata quindi la premessa per l’attività di ricerca compiuta, tanto che il questionario adottato in Italia verrà tradotto in tutte le cinque lingue dei partner europei del progetto “Risewise”: Spagna, Portogallo, Austria, Svezia e Turchia. L’obiettivo per il 2018 è arrivare ad avere un’analisi comparata delle questioni di genere anche negli altri Paesi coinvolti, che può essere utilizzata come base di partenza per indirizzare le politiche e i servizi preposti all’inclusione e all’integrazione delle donne disabili». Molte, infatti, hanno lamentato una carenza di attenzione o di educazione verso determinate tematiche, che ha influito negativamente sulla loro consapevolezza del sé.

Fonte: Corriere.it

05/01/2018