Lasciateci piangere

Lasciateci piangere

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Incombenze burocratiche e tante complicazioni accompagnano l’ingresso delle persone con disabilità nell’età adulta. Due mamme raccontano: "Da genitori diventiamo amministratori di sostegno o tutori. Con un giudice che ci esamina come fossimo impostori"

ROMA – Si è tenuto a Rimini nei giorni scorsi il convegno sulla "disabilità adulta": tanti i nodi che sono stati affrontati, in questa rassegna sulle difficoltà che una persona disabile deve affrontare per diventare "grande". E per non essere condannata a una eterna fanciullezza. Se infatti crescere è difficile per tutti, per chi ha una disabilità rischia di diventare addirittura impossibile dal punto di vista "culturale". Molto complicato, invece, dal punto di vista burocratico. E in questo secondo caso, sarà soprattutto la famiglia a farne le spese: incombenze, carte da compilare, domande da presentare sono solo alcune delle preoccupazioni che affliggono i genitori di una persona disabile che lascia la minore età e diventa maggiorenne.

L’allarme è stato lanciato pochi giorni fa da Gianluca Nicoletti, in occasione del 18° compleanno del figlio Tommy. Oggi abbiamo chiesto a due mamme, caregiver a tempo pieno per scelta ma anche per necessità, esperte del sistema burocratico che ruota intorno alla disabilità, di rievocare le difficoltà e i dubbi che hanno avuto quando, ormai diversi anni fa, i loro figli – Claudia e Christian – sono diventati maggiorenni.

"Mio figlio Christian è diventato maggiorenne due anni fa. Ed è stato un vero incubo – assicura Chiara Bonanno – Oggi almeno, rispetto ad allora, qualche semplificazione c’è stata, ma sono sempre moltissime le incombenze burocratiche che restano da affrontare quando un figlio disabile compie 18 anni. Prima fra tutte, nel caso ci sia una disabilità cognitiva, la richiesta dell’Amministratore di sostegno: questo vuol dire entrare in una specie di girone dantesco, il tribunale tutelare, con istanze da fare, parenti con cui non hai rapporti da anni da coinvolgere, levatacce alle 5 del mattino per prendere il ‘pre-numeretto’ per presentare la domanda. Il tribunale infatti, ancora in piena epoca di internet, funziona con istanze scritte a mano e presentate allo sportello che alle 12 chiude, chi c’è c’è, chi non c’è ritorna". I tempi per ottenere l’appuntamento con il giudice tutelare sono molto lunghi, in media un anno, quindi Chiara consiglia ai genitori di "fare la richiesta di Amministratore di sostegno quando il figlio ha ancora 17 anni".

Ma c’è di peggio: "la cosa più brutta – spiega Bonanno – è che dopo i 18 anni, specie se vivi in una grande città, tu non sei più nessuno per tuo figlio! Questo significa che, per prendere allo sportello le analisi che ha fatto, ritirare una raccomandata indirizzata a lui, prenotare un autoambulanza, iscriverlo da qualsiasi parte devi dimostrare che hai un autorizzazione, portarti dietro la sua carta d’identità con su scritto che è impossibilitato alla firma, la copia della sentenza che ti dichiara amministratore di sostegno, per poi ritrovarti a discutere allo sportello con burocrati che si sentono autorizzati a trattarti come un impostore".

E poi c’è un problema di continuità assistenziale, perché "i medici specialisti territoriali che per 18 anni hanno seguito tuo figlio cambiano tutti: si passa nelle mani del servizio handicap adulti che, come nel mio caso, aveva una lista d’attesa di un anno". Tra tutte le incombenze, però, quella "più triste è il giuramento come amministratore di sostegno. Tu sei là, dopo aver subito una sorta di ‘esame’ inquisitore, a giurare davanti a un perfetto estraneo che ti occuperai di tuo figlio, con serietà e diligenza e senza arrecargli alcun danno! E dentro di te avresti voglia di gridare: ‘ma vi rendete conto che se mio figlio è ancora vivo è proprio perché io l’ho amato con tutta me stessa da quando è nato? Che vivo per lui senza un attimo di respiro da 18 anni?!’ Beh, io l’ho vissuta come una grande umiliazione. E un vero e proprio insulto".

Marina Cometto utilizza quasi gli stessi termini di Chiara Bonanno, pur non avendo potuto sentire le sue parole: segno che le cose stanno proprio così. "Quando un figlio con una disabilità anche intellettiva diventa maggiorenne, smette di essere considerato tuo figlio – ci dice infatti anche Marina, che ha vissuto questo momento ormai tanto tempo fa, visto che la figlia Claudia ha oggi 42 anni – Da quel momento tu non sei più genitore: diventi o tutore o amministratore di sostegno e devi rendere conto del tuo operato al giudice! Alcuni chiedono pure gli scontrini delle spese, come se i genitori che per 18 anni si sono occupati dei loro figli fossero tutti degli approfittatori. Non si può immaginare lo sconforto che sente un genitore in quel momento: prima c’era il vuoto, nessuno si preoccupava di come stessero i nostri figli, nessuno chiedeva cosa facessimo, come facessimo, di cosa avessero bisogno i nostri figli, eravamo genitori lasciati da soli a gestire una situazione che nessuno ci aveva insegnato a gestire. E pensavamo di essere già bravi ad avere resistito e soddisfatti di ciò che avevamo costruito , lottando contro la burocrazia, la discriminazione, la solitudine in cui ci avevano confinato. Ma non immaginavamo certo che c’era un peggio a cui abituarsi – ci spiega ancora Cometto – Già il fatto di non essere più considerati genitori è doloroso, ma diventare soggetti sotto controllo è distruttivo".

A questa difficoltà emotiva e psicologica, si aggiungono quelle burocratiche e pratiche: "in molti casi i nostri figli, diventando maggiorenni, vengono esclusi dalla riabilitazione motoria e logopedica, perché secondo l’ignoranza dilagante della classe medica e politica non sono più riabilitabili. E poco importa se la terapia può servire almeno a peggiorare più lentamente: diventando maggiorenni devono rientrare nella categoria dei pazienti adulti, dove a volte mancano persino gli strumenti sanitari adatti per questi ‘adulti anagrafici’ ma bambini di fatto". E poi ci si mette anche la scuola, che se può evita volentieri questi complicati studenti maggiorenni: "i genitori devono stare molto attenti – raccomanda Cometto – perché se un ragazzo non ha ottenuto, per proprie carenze intellettive, la licenza delle scuola secondaria inferiore, ma solo l’attestato di frequenza, dopo i 18 anni non può accedere alla scuola superiore, se non in orario serale. E’ un bel modo per liberarsi di loro nel contesto scolastico. L’alternativa è il Centro diurno, laddove questo esista: e qui il rischio parcheggio, magari accanto a 50enni, è dietro l’angolo, anche se non mancano i luoghi di eccellenza. Insomma, per concludere, quando il figlio disabile diventa maggiorenne, la famiglia passa dalla solitudine sociale al deserto sociale. Con tutte le sofferenze e le complicazioni del caso".

Fonte: Superabile.it

14/03/2016