Miti da sfatare sulla Vita Indipendente

Miti da sfatare sulla Vita Indipendente

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Ian Burkhart, 24 anni, è riuscito a versare acqua in un bicchiere e a pizzicare le corde di una chitarra. Si allena dal 2014 (anno dell’impianto del chip) e da allora ha fatto molti progressi. «Non è una cura», dicono gli studiosi, i movimenti sono legati al computer

di Silvia Turin

Come funziona il chip

Il chip è stato impiantato nella corteccia cerebrale che controlla i movimenti e riesce a convogliare i segnali nervosi a un sistema di elettrodi posti sull’avambraccio che li trasmette alla mano: il ragazzo 24enne ha mosso la mano, le dita e il polso, afferrando una bottiglia e versandone il contenuto in un bicchiere, poi ha pizzicato le corde di una chitarra. Il sistema usato si chiama NeuroLife, ed è un “bypass nervoso elettronico” che registra i segnali della corteccia grazie al chip, li elabora e li trasforma nei movimenti desiderati grazie a un sistema basato sull’intelligenza artificiale.

Ian Burkhart, il giovane, ha subito una lesione spinale a causa di un incidente subacqueo che lo ha paralizzato: si è spezzato il collo battendolo sulla sabbia del fondale e perdendo l’uso delle gambe e delle braccia. I ricercatori hanno lavorato per oltre 10 anni alla tecnologia che lo sta aiutando: hanno prima registrato gli impulsi nervosi della corteccia motoria grazie a elettrodi impiantati nel cervello di una persona paralizzata; e hanno usato questi dati come base per sviluppare il chip, gli algoritmi di apprendimento e il sistema di sensori che stimola i muscoli.

In realtà la sperimentazione su di lui è cominciata nel 2014, con l’intervento chirurgico di tre ore durante il quale un chip più piccolo di un pisello è stato impiantato nella corteccia motoria. In quel caso il ragazzo nei primi esperimenti aveva potuto aprire la mano per la prima volta, stringerla in un pugno e afferrare un cucchiaio. Ci sono voluti 15 mesi per arrivare ai gesti più complessi di oggi: adesso Burkhart durante i test riesce a strisciare una carta di credito, ad afferrare una bottiglia, a versarne il contenuto in un bicchiere, e a usare la tastiera di un computer. «Negli ultimi dieci anni – dice Bouton – abbiamo imparato a decifrare i segnali del cervello dei pazienti che sono completamente paralizzati e ora, per la prima volta, questi segnali sono stati trasformati in movimenti». L’esperimento, aggiunge, mostra che i segnali registrati dal chip possono essere rispediti all’arto, aggirando la lesione e permettendo di ripristinare i movimenti.

«Non è una cura per la paralisi»

Non è una cura per la paralisi, e comunque il ragazzo può muovere la mano solo attaccato al computer: adesso la sfida è miniaturizzare tutto l’apparato e renderlo senza fili, in modo che, conclude Ali Rezai, al più presto possa essere utilizzato dai pazienti a casa. «È pazzesco – dice contento Ian – perché avevo perso la sensibilità alle mani e ho dovuto guardarle per sapere se stavo stringendo o estendendo le mie dita». I ricercatori specificano che c’è molto lavoro da fare prima che il sistema possa fornire una significativa indipendenza mobile. Questo nuovo studio dimostra che l’approccio bypass può ripristinare capacità negli arti non più direttamente collegati al cervello. Burkhart ha detto che l’allenamento è stato “estenuante, ma esaltante”. «Ho dovuto stare davvero concentrato: è stato come allenarsi per uno sport, si lavora e il lavoro diventa via via più facile».

Fonte: Corriere.it

18/04/2016