Sostegno, l’Italia spaccata in due: differenze abissali fra le regioni

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La richiesta. «Io e mia moglie abbiamo già passato 27 anni di galera. Il presidente capirà, ha un cuore di padre»

PALERMO. È arrivata la grazia del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ma in sostanza nulla cambia per Calogero Crapanzano, il maestro ormai in pensione che sta scontando agli arresti domiciliari una condanna a nove anni e quattro mesi perché il 23 giugno 2007 strangolò il figlio autistico. Il dolore e il rimorso non lo hanno mai abbandonato da allora. Anche se lui e la moglie avevano vissuto un’esistenza terribile con Angelo, sempre più spesso in preda a crisi terribili e devastanti. È stato lo stesso Calogero Crapano, condannato a Palermo dal giudice Lorenzo Matassa, a chiedere la grazia al capo dello Stato. Lo aveva annunciato due anni fa. «Io e mia moglie – disse – abbiamo già passato 27 anni di galera. Io non posso andare in carcere. Sto male. Se la condanna verrà confermata in Cassazione, chiederò la grazia al presidente Napolitano. Ha un cuore di padre. Capirà il mio strazio». Aveva 27 anni Angelo quando fu strangolato dal padre. «È successo tutto in un raptus di sconforto», confessò ai carabinieri ai quali si costituì. «Dopo anni di sofferenza – aggiunse, mostrando il cadavere del figlio rinchiuso nel bagagliaio dell’auto con cui aveva raggiunto la caserma – non ce l’ho fatta più. Era una vita d’inferno, ma sono pentito per quello che ho fatto». La tragedia si compì in pochi istanti. Calogero Crapanzano aveva portato il figlio a fare una passeggiata in auto per distrarlo. Angelo era spesso preda di violenti accessi di ira che lo spingevano a picchiare il padre e la madre. Aveva la mania di smontare continuamente degli oggetti per poi rimontarli. «In macchina – ricordò al processo – non faceva che ripetere che dovevamo smontare il condizionatore dell’aria. Poi prese ad agitarsi, a gridare, a mordersi le mani fino a farle sanguinare». La discussione tra i due congiunti, come altre volte, degenerò. Angelo non riusciva a calmarsi, né ad accettare consigli dal padre. «Non riuscii a controllarmi. Afferrai i cavetti della batteria che avevo a bordo dell’auto e lo uccisi. Ma sono pentito di quello che ho fatto. Lo giuro», aggiunse nel corso dell’interrogatorio al processo. Al figlio autistico Crapanzano e la moglie avevano dedicato le loro esistenze. «Troppe volte – ricordò il maestro che, per stare vicino al figlio, aveva lasciato pure l’insegnamento – ho chiesto aiuto alle istituzioni. Ma mi prescrivevano solo psicofarmaci per il mio ragazzo. Ero ormai esasperato da una vita di inferno. Angelo picchiava me e mia moglie. Qualche volta aveva anche minacciato il suicidio». Soffocato il figlio, Calogero Crapanzano – reo confesso – fu arrestato, quindi scarcerato dal gip perché non c’erano pericoli di fuga. «Ora devo occuparmi della sepoltura di mio figlio e portarlo nella tomba di famiglia a Favara», furono le sue prime parole uscendo di prigione. Al processo il pm chiese per Calogero Crapanzano la condanna a trent’anni di carcere. Il giudice Matassa concesse tutte le attenuanti generiche e gli inflisse invece 9 anni e quattro mesi da scontare agli arresti domiciliari in modo da assistere la moglie. «L’assassinio – scrisse il giudice nella motivazione della sentenza che suscitò moltissimo clamore quanto la stessa vicenda dell’omicidio – non è tollerabile né scusabile, ma per quasi trent’anni Crapanzano ha dedicato interamente al figlio disabile la sua vita. Non fu un dramma della follia, ma dramma della malattia. Cosa fa lo Stato – si chiedeva il giudice Matassa – per curare chi è colpito dal male autistico? In quale modo si tutela l’integrità delle famiglie che da questo male vengono travolte? La risposta, triste e disarmante, è purtroppo quella che implica l’assenza: nulla».

di Giorgio Petta

Fonte: La Sicilia

27/10/2011