Attualmente il concetto di salute si identifica in uno stato di benessere che coinvolge la dimensione fisica, psicologica e sociale dell’individuo.
Legata alla percezione di benessere è la qualità della vita: in pratica, un paradigma che rende la persona soddisfatta o insoddisfatta della propria quotidianità. La qualità della vita è data anche dall’impiego del tempo libero in attività gratificanti.
Nel disabile, spesso la qualità della vita appare scadente in virtù del fatto che il tempo libero è un tempo vuoto, abitato dalla solitudine e dalla noia.
La qualità della vita
Attualmente il concetto di salute è inteso non come assenza di malattia, ma in una accezione decisamente più ampia e completa. A questo riguardo gli organismi internazionali (Organizzazione Mondiale della Salute) hanno focalizzato la definizione di salute in una dimensione olistica, esplicitandola come una condizione di benessere che riguarda le tre dimensioni che caratterizzano la vita di ogni individuo, ovvero la dimensione fisica, psicologica e relazionale – sociale.
Laddove si vuol caratterizzare il costrutto di benessere, si deve ricorrere alla determinazione degli elementi che lo compongono. In pratica, potremmo definire un individuo in uno stato di benessere allorquando ha:
delle priorità che dirigono la sua vita;
la sensazione di guidare il corso degli eventi che compongono il suo ciclo vitale;
una buona relazionalità sociale, che lo fa interfacciare in termini positivi e gratificanti con l’alterità.
Sintonica e complementare con il concetto di benessere è la rappresentazione mentale individuale dell’idea di qualità della vita, che diviene il fondamento paradigmatico ed euristico della percezione del benessere personale. In altre parole, dalla qualità della vita le persone traggono le inferenze in grado di definire il proprio benessere in termini di presenza o assenza. I parametri che tipizzano la qualità della vita sono molteplici, ricoprendo tutti gli aspetti della vita quotidiana e fornendo gli archetipi per una prospettiva temporale positiva e ottimista. A questo riguardo si possono citare alcuni parametri, quali:
il possedere un’attività lavorativa appagante e gratificante;
l’avere la percezione della propria libertà personale;
il vivere in ambienti qualitativamente superiori;
il fruire di un tempo libero piacevole.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito, investendo tutte le dimensioni che compongono la vita dell’individuo sia in un’ottica olistica che ecologica. Brown, citato in Soresi (2007), individua nel concetto di qualità della vita degli elementi oggettivi e soggettivi. Fra i primi sono da elencare:
le possibilità economiche, le peculiarità dell’ambiente, le condizioni di salute.
Fra i secondi sono da citare: la sensazione di realizzazione, la percezione della sintonia con la propria individualità e con l’alterità, la conoscenza dei propri desideri, l’impressione di essere sempre all’altezza del compito da svolgere in ogni situazione.
Il fatto che gli individui possano percepire in maniera differente le stesse situazioni di vita deriva dai costrutti personali che compongono la loro mappa cognitiva e che li fanno essere:
più o meno ottimisti,
più o meno fiduciosi in se stessi;
più o meno coscienti del proprio empowerment personale.
La disabilità
Attualmente, grazie alle rivoluzionarie concettualizzazioni sancite dall’ICF (2002), la disabilità è considerata uno stato di salute in un ambiente sfavorevole. In questo modo si pongono in evidenza le correlazioni che legano la percezione del proprio stato di salute e di benessere alle variabili ecologiche, che caratterizzato il contesto di vita dell’individuo, rimarcando ancora una volta come la sensazione di disabilità sia strettamente proporzionale alla qualità della vita vissuta. In altre parole, laddove il disabile ha l’impressione che la propria vita sia ricca di un vigore fisico, frutto anche di trattamenti abilitativi, riabilitativi e terapeutici idonei ed efficaci, di una serenità emotiva, di un contesto sociale, che favorisce l’evoluzione personale, che sostiene e incrementa i rapporti con gli altri individui, che non lede le prerogative personali e soprattutto che permette di esercitare il libero arbitrio, lì egli vivrà la sua disabilità come una diversa abilità.
La considerazione di tali costrutti ha permesso un salto di qualità nell’ambito dell’approccio e dell’intervento a carico della disabilità. In pratica, il paradigma fondante dei trattamenti biopsicosociali destinati alle persone affette da uno stato morboso invalidante è divenuto l’incremento della qualità della loro vita. Tale finalità si realizza, come la Donati (2003-2004) puntualizza, operando su due fronti:
da un lato ristrutturando il contesto esterno dell’individuo, ottimizzando la dimensione lavorativa e l’impiego del tempo libero;
dall’altro lato revisionando il suo contesto interiore, incrementando le chiavi di lettura positive che la persona adopera per leggere se stesso, gli altri e la realtà che lo circonda, ovvero attuando una riorganizzazione della cognitività e della percezione della realtà.
Il tempo libero della persona disabile
Frequentemente il tempo libero della persona disabile è un tempo vuoto, alimentato dalla noia e dalla solitudine, dal senso di abbandono e di impotenza, come messo in evidenza da Trisciuzzi, Fratini & Galanti (2010). Per lungo tempo si è provveduto ad ottimizzare il percorso scolastico e riabilitativo di chi è affetto da disabilità, trascurando questa importante dimensione che è rappresentata dal tempo non occupato, che, soprattutto, nell’adulto disabile, una volta terminata l’esperienza formativa, diviene il tempo prevalente.
I contesti educativi, nello specifico la scuola, sono chiamati ad intervenire in tal senso, insegnando al disabile tutte quelle abilità che gli possano permettere di vivere il tempo libero come un momento di gioia e non di tedio.
Wehman, citato in Donati (2003-2004), distingue nel tempo libero due parametri che lo contraddistinguono:
uno tangibile, legato alla porzione temporale impiegata;
l’altro personale, connesso alle emozioni positive e al senso di soddisfazione e di benessere che le attività svolte donano.
Nell’ambito del tempo libero della persona disabile un posto di rilievo lo deve occupare la pratica sportiva. Infatti, l’esercizio delle attività motorie e sportive permette all’individuo diversamente abile di:
incrementare le risorse personali;
migliorare i comportamenti, le competenze, le capacità e le abilità;
implementare la relazione con l’alterità;
potenziare l’empowerment soggettivo;
ampliare l’autonomia personale.
Ci si riferisce, prevalentemente, all’attività fisica adattata, ovvero una pratica motoria e sportiva modificata per incontrare, accogliere e soddisfare i bisogni delle persone affette da disabilità.
A questo riguardo, già nel 1978, la Carta internazionale dell’Unesco, citata in Casalini (2008), dichiarava:
“Ogni essere umano ha il diritto fondamentale di accedere all’educazione fisica e allo sport, che sono indispensabili allo sviluppo della sua personalità. Condizioni particolari devono essere offerte ai giovani, compresi i bambini in età prescolare, alle persone anziane e ai disabili per permettere lo sviluppo integrale della loro personalità, grazie ai programmi di educazione fisica e di sport adattati ai loro bisogni”.
Fonte: Stateofmind.it
29/05/2014