Scuola, MIUR: oltre 42mila edifici, quasi 34mila funzionanti. Il 55% realizzti prima del 1976

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Analisi dell’Anmic che passa al setaccio lo schema di decreto legislativo 176/2015 sulla razionalizzazione e semplificazione del sistema di inserimento lavorativo mirato delle persone con disabilità. Chiamata nominativa, riduzione di fatto dei posti riservati, nessun intervento per la disabilità intellettiva. Il presidente Pagano: "Ci vogliono modifiche"

ROMA – Lo schema di decreto legislativo n. 176/2015 in materia di razionalizzazione e semplificazione del sistema di inserimento lavorativo mirato delle persone con disabilità, contiene sì aspetti di positività, ma al contempo non interviene con efficacia su alcuni aspetti critici che risultano invece fondamentali. E’ il giudizio dell’Anmic, l’associazione nazionale mutilati invalidi civili, che individua alcuni "scogli sui quali rischia di arenarsi l’attuale tentativo del Governo di migliorare la normativa sul collocamento obbligatorio".

Primo fra tutti gli aspetti ritenuti controversi, è secondo l’Associazione l’introduzione della chiamata nominativa come regola rispetto a quella numerica (articolo 6, comma 1, lettera a). "In tal modo – spiega il presidente nazionale Anmic Nazaro Pagano – si lascia al datore di lavoro la possibilità di selezionare il lavoratore disabile da assumere che, con ogni probabilità, sarà individuato solo tra le persone con un minore grado di invalidità". "Questo rischio – spiega ancora – non risulta compensato dall’aver previsto incentivi (all’articolo 10), perché se è vero che sono previsti in misura maggiore per le assunzioni dei disabili più gravi, tali incentivi hanno poi una capacità di azione limitata, sia per importi che per durata, che è fissata in soli 36 mesi".

Secondo aspetto negativo è per l’Anmic la questione della riduzione "di fatto" dei posti da assegnare ai disabili. Anche se formalmente sono state mantenute inalterate le percentuali delle quote di riserva, infatti, in realtà nel computo vengono inseriti anche i lavoratori disabili al 60% o psichici o intellettivi al 45%, (riconosciuti tali prima della costituzione del rapporto di lavoro ma non assunti attraverso il collocamento obbligatorio): ciò di conseguenza comporta una riduzione dei posti futuri riservati ai disabili dal momento che si devono computare, ai fini del rispetto delle quote di riserva, anche coloro che sono stati assunti in modo ordinario e sulla base delle proprie capacità e che non si sono avvalsi della condizione di disabilità.

Un analogo effetto – prosegue l’analisi dell’Anmic – è collegato, in modo indiretto, alla previsione dell’articolo 2 della bozza di decreto legislativo che aggiunge – tra i soggetti destinatari delle disposizioni della legge n. 68/99 – anche le persone nelle condizioni di cui all’articolo 1 comma 1, della legge n. 222/84, cioè coloro che hanno visto ridotta la propria capacità lavorativa a meno di un terzo e sono titolari di assegno di invalidità contributivo. "Sarebbe stato invece pienamente in linea con una politica di tutela dei disabili – afferma Nazaro Pagano – lasciare invariato il criterio di individuazione dei soggetti da computare ai fini del calcolo della riserva ed estendere a tutti i lavoratori disabili, con una determinata percentuale di invalidità e anche se non assunti con il collocamento obbligatorio, tutte le forme di tutela riservate a coloro che sono stati assunti ai sensi della legge n. 68/99".

Terza lacuna da colmare secondo l’Anmic è il fatto che nessuna disposizione è stata introdotta per la disabilità psichica ed intellettiva. Ai sensi del quarto comma dell’articolo 9 e dell’articolo 11 della legge n. 68/99, queste persone possono essere collocate solo sulla base di apposite convenzioni sottoscritte da datori di lavoro ed enti pubblici che prevedono programmi di inserimento lavorativo e di formazione. Si tratta pertanto di una normativa discriminatoria perché non tiene conto delle diverse forme di disabilità psichica ed intellettiva e dell’esistenza di patologie mentali di minore importanza o ben compensate che, laddove fossero supportate da un giudizio funzionale di idoneità a determinate mansioni lavorative, renderebbero pienamente legittima l’assunzione attraverso le chiamate numeriche o dirette dalle liste di collocamento obbligatorio, in posizione paritaria rispetto ai disabili fisici.

Il quarto e quinto aspetto critico, correlati fra loro, riguardano il problema delle attuali "scoperture" e l’elusione della normativa sul collocamento obbligatorio. Come si ricorderà, spiega l’Anmic, attualmente si calcola che le "scoperture" di posti destinati ai disabili ammontano a circa 180.000 unità. Ma nulla è stato previsto finora per i datori di lavoro privati che non hanno assunto o non assumono disabili, né per le Pubbliche amministrazioni chiamate ad una revisione delle loro strutture organizzative e alla copertura obbligatoria delle quote di riserva risultate scoperte. "Il sistema sanzionatorio per i datori di lavoro che non assumono disabili risulta a nostro giudizio inefficace", afferma il presidente nazionale Pagano. Se infatti (come previsto nel decreto legislativo n. 23/2015, frutto della stessa delega che è alla base della bozza di dlgs in discussione) si è qualificato il licenziamento di un lavoratore disabile effettuato a causa della sua disabilità come atto discriminatorio o nullo e si è prevista perciò la reintegrazione nel posto di lavoro, per analogia il comportamento del datore di lavoro che non assume disabili pur avendone l’obbligo allo stesso modo, costituisce sotto il profilo giuridico anch’esso un atto discriminatorio. In tal caso infatti – spiega l’Anmic – non essendo ammissibile una esecuzione in forma specifica dell’obbligo di costituire il rapporto di lavoro, la tutela risarcitoria a favore di chi subisce la mancata assunzione è un rimedio sicuramente efficace da introdurre nell’ordinamento, "fino a quando non maturi nel mondo datoriale una cultura della solidarietà e l’idea della funzione sociale di proprietà ed impresa".

Vi sono infine altri temi – conclude il Presidente ANMIC – che meriterebbero ulteriore riflessione. "Al di là dei tecnicismi, ci limitiamo ad esempio a ricordare la questione dell’affidamento al Ministero del lavoro e delle politiche sociali del compito di introdurre modalità di valutazione bio-psichico-sociale delle disabilità ai fini dell’inserimento lavorativo, ma tale previsione non appare del tutto condivisibile". Infatti tale criterio da solo non sembra adeguato allo scopo, "perché l’elemento fondamentale per la individuazione dei soggetti destinatari della disciplina del collocamento obbligatorio resta quello della valutazione tabellare della capacità lavorativa." Criterio questo che è appunto finalizzato ad individuare l’incidenza delle patologie sulla persona e a misurare la permanenza di una residua possibilità di prestare attività lavorativa.

Fonte: Superabile.it

09/07/2015