Dalle residenze assistite alle convivenze assistite per le persone con disabilità mentale. Una possibile soluzione per il caso di Sassari in linea con la Convenzione dell’Onu per i diritti delle persone disabili. Il commento di Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della Fish
ROMA – Nel discutere il caso di Sassari bisogne tener conto del fatto che la legge 180/78 ha abolito i manicomi perché i nuovi orientamenti della psichiatria hanno convinto il legislatore italiano a garantire in via definitiva altre forme di cura e di vita per le persone con disabilità mentale. Si deve tener presente che la normativa previgente alla legge Basaglia parlava di "alienati mentali" e il Codice civile prima dell’introduzione della figura dell’amministratore di sostegno parlava di "incapaci", privi totalmente di capacità di compiere qualunque atto giuridicamente rilevante. Oggi a livello sanitario queste persone sono considerate "persone" con disabilità mentale e possono compiere gli atti giuridici che il giudice tutelare ritiene possano compiere da soli o con l’assistenza dell’amministratore di sostegno.
Di conseguenza, se la vecchia concezione tendeva a considerare tali persone "non più persone" perché "alienate" da sé cioè prive totalmente di capacità di intendere e di volere e quindi alienate, ovvero escluse dagli altri, oggi la legge le considera titolari del diritto di riappropriarsi di quegli atti giuridici che il giudice tutelare ritiene di dover riconoscere loro e quindi titolari del diritto all’inclusione sociale, sia pure con tutte le forme di assistenza sanitaria, sociale e civile che la legislazione è venuta maturando sino ad oggi e che però rischiano un forte ridimensionamento a causa dei tagli alla spesa sanitaria e sociale. La cultura sociale e giuridica è andata oltre, avendo previsto il diritto alla parità di trattamento con tutti gli altri cittadini, con l’approvazione della legge 67/06 che vieta qualsiasi forma di discriminazione diretta e indiretta nei confronti di tutte le persone con disabilità. Anche a livello internazionale la dignità di tutte le persone con disabilità è stata riconosciuta con la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata dall’Onu nel 2006 e ratificata dall’Italia con la legge nazionale18/09, totalmente incentrata sul diritto all’inclusione sociale con forme di vita per quanto possibile simili a quelle degli altri.
Da quanto sopra detto, risulta evidente che le persone con disabilità mentale possono, personalmente o tramite gli amministratori di sostegno, decidere di rinunciare a vivere in residenze assistite "per disabili" e vivere in normali appartamenti in convivenze "di persone con disabilità". Non ci si può però nascondere un problema giuridico. La legge 180/78 nel deliberare la chiusura dei manicomi, ha però preteso che queste persone, che necessitano di assistenza sanitaria di carattere riabilitativo di mantenimento e miglioramento dello stato di benessere raggiunto, non possano essere abbandonate a se stesse o alle loro famiglie. Di qui, allora, la previsione di residenze tramite enti convenzionati che debbono possedere certi requisiti, fissati nelle varie leggi regionali, come quelle sarde. Ciò può sembrare una discriminazione ai danni di tali persone, però si deve tener conto che noi, persone con disabilità, in seguito alla certificazione della minorazione di cui siamo portatori, acquisiamo uno status che ci pone sotto una particolare tutela dell’ordinamento giuridico, riconoscendoci dei particolari diritti e ponendoci talune particolari limitazioni. Ad esempio, a me, cieco, non sarà mai rilasciata l’idoneità per la patente di guida come alle persone con gravi disabilità non sarà consentito insegnare nelle scuole d’infanzia o primarie vista la difficoltà a garantire l’incolumità dei bambini, così alle persone con disabilità mentale non è consentito vivere senza una vigilanza costante dell’autorità sanitaria.
È vero che le persone con disabilità intellettiva come le persone affette dalla Sindrome di Down o con ritardo mentale lieve e medio, da anni sperimentano percorsi di vita autonoma in piccoli appartamenti, seguiti da associazioni proprie o dei familiari, come Aipd e Anffas, senza una vigile e invasiva presenza dell’autorità sanitaria. Però bisogna tenere presente, come ha precisato anche la Corte Costituzionale (sentenza 50/90), sia pur a proposito del collocamento lavorativo obbligatorio, che c’è una notevole differenza tra persone con disabilità intellettiva, come nel caso dei Down, i cui comportamenti sono prevedibili, e persone con disabilità mentale, i cui comportamenti non sono prevedibili. Mentre per le prime la vigilanza dell’autorità sanitaria avviene solo su richiesta degli interessati e dei loro familiari, per le seconde la vigilanza dell’autorità sanitaria è obbligatoria e istituzionale, nell’interesse degli stessi e dei terzi. Ciò non comporta però la perdita della libertà di queste persone, ma solo un maggior contatto con l’autorità sanitaria. Pertanto resta fermo per loro il diritto a scegliersi dove e come vivere.
Ciò può realizzarsi anche con "convivenze assistite", il cui funzionamento sia stato segnalato all’autorità sanitaria che instaurerà una vigilanza discreta ma sicura. E ciò è stato fatto, ad esempio, dal Centro di salute mentale di alcune Asl di Torino che hanno autorizzato 10 convivenze assistite di persone con disabilità mentale. Conseguentemente, se il comitato e le associazioni di Sassari vogliono che la sperimentazione avviata e improvvisamente interrotta, possa proseguire, non devono fare altro che prendere accordi con l’Asl di Sassari al pari di quanto avviene da anni a Torino. È vero che l’appartamento è stato dissequestrato, ma non è stato consentito ai familiari e agli amministratori di sostegno degli ex-inquilini rientrarvi, a mio avviso, proprio perché manca un preventivo accordo con il Centro di salute mentale.
L’iniziativa può essere avviata su istanza dei singoli ex-inquilini o del Comitato dato che l’articolo 118 della Costituzione al comma 4 prevede che le pubbliche istituzioni devono sostenere le libere iniziative promosse dai singoli o da gruppi nell’interesse generale. Ed è certamente nell’interesse generale avviare una convivenza assistita che, oltre a garantire un percorso di vita di maggiore qualità, evita o riduce enormemente le spese della retta di ricovero in residenze assistite. La realizzazione di convivenze assistite d’intesa con l’Asl, in alternativa alle residenze istituzionali, può considerarsi un esempio del principio di "accomodamento ragionevole" definito dall’articolo 2 della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
di Salvatore Nocera
Fonte: superabile.it
16/09/2011