Chiesto un incontro coi tre ministeri competenti, Salute, Welfare, Economia, perché la ripartizione sia equa
ROMA – «La nostra battaglia per un’assistenza domiciliare dignitosa ha ottenuto un primo risultato con lo stanziamento, da parte del governo, di 700 milioni di euro a favore dei malati non autosufficienti e che soffrono di patologie altamente invalidanti. Ma vogliamo garanzie su come saranno spesi questi fondi, per questo siamo di nuovo qui». Non demorde Laura Flamini, malata di Sla, presidente del Comitato 16 Novembre Onlus per la difesa di malati gravi e gravissimi, di nuovo in piazza, davanti al Ministero dell’Economia, sfidando il caldo torrido, come altri malati, per avere risposte certe dalle istituzioni. Tracheostomizzati, in barella o in carrozzina, debilitati nel corpo ma determinati a chiedere supporto per ricevere assistenza al proprio domicilio, perché vivere a casa piuttosto che in ospedale consente loro di avere una vita più dignitosa, insieme ai loro cari. E farebbe anche risparmiare soldi allo Stato, come dimostra un progetto che propongono al governo.
SCIOPERO DELLA FAME SOSPESO – Nei giorni scorsi i disabili gravi e gravissimi e le loro famiglie avevano preannunciato lo sciopero della fame, dopo che era stato annullato l’incontro promesso per il 9 luglio coi rappresentanti dei Ministeri di Economia, Salute e Welfare. Poi, venerdì scorso, la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto sulla Spending Review. A prevedere i «700 milioni di euro per l’anno 2013» per «interventi in tema di sclerosi laterale amiotrofica e altre malattie invalidanti, per ricerca e assistenza domiciliare dei malati» è il comma 8 dell’articolo 23 del decreto «Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica, ad invarianza dei servizi ai cittadini», pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 6 luglio e in vigore dal giorno successivo.
RIPARTIZIONE EQUA – «Ora sarà necessario un decreto attuativo – sottolinea Flamini –. Chiediamo che sia scritto in modo che le regioni non possano utilizzare questi soldi per altri fini, come per esempio finanziare case sollievo o acquistare ausili, ma solo per l’assistenza indiretta ai malati gravi». Aggiunge Mariangela Lamanna, vicepresidente del Comitato 16 Novembre: «Abbiamo il terrore che possa accadere di nuovo; già l’’anno scorso, infatti, era stato stanziato un Fondo di 100 milioni per supportare l’assistenza al proprio domicilio dei malati di Sla non autosufficienti, ma alcune regioni non hanno ancora erogato le risorse ai pazienti, altre le stanno destinando a spese sanitarie. Chiediamo inoltre che i fondi siano ripartiti in modo equo, in base alla patologia e non alla popolazione residente in ciascuna regione, per evitare disparità di trattamento tra malati ugualmente gravi. Tra l’altro, non esiste ancora un registro nazionale dei malati di Sla».
DELEGAZIONE RICEVUTA DAL SOTTOSEGRETARIO – Richieste di nuovo ribadite dalla delegazione ricevuta in tarda mattinata dal sottosegretario al Ministero dell’economia, Gianfranco Polillo. «Abbiamo sollecitato di nuovo un incontro coi rappresentanti dei tre Ministeri coinvolti: Welfare, Sanità, Finanze – riferisce Mariangela Lamanna –. Il sottosegretario ha ribadito il suo impegno in questa direzione».
RESTARE A CASA – «Vorremmo illustrare anche una nostra proposta che farebbe risparmiare soldi allo Stato – aggiunge Salvatore Usala, segretario del Comitato 16 Novembre –. Siamo consapevoli delle grandissime difficoltà economiche che attraversa il Paese, ma i fondi si possono trovare, basta trasferirli all’assistenza diretta alle famiglie». Una delle ipotesi è il progetto assistenziale che in Sardegna funziona da 6 anni, “Ritornare a casa”. «Riguarda mille assistiti, costretti alla tracheostomia 24 ore su 24 in ventilazione meccanica invasiva – continua Usala –. La Regione spende circa 20 milioni di euro fra oneri normali e aggiuntivi, ma ne risparmia circa 50. Si sono infatti ridotti al minimo i ricoveri in rianimazione (costo: 1.800 euro al giorno) e anche i ricoveri nelle RSA, Residenze Sanitarie Assistenziali (costo: 200 euro al giorno), a totale carico del Servizio Sanitario Regionale. Il progetto, inoltre, può creare nuovi posti di lavoro; secondo i nostri calcoli circa 90mila in tutta Italia».
Fonte: Corriere della Sera.it
12/07/2012