Parlano da sé, e sono quanto mai impietose nel confermare ciò che appare evidente a tutti, le cifre emerse da un’indagine della Fondazione Cesare Serono, realizzata dal Censis: per risorse e servizi destinati alle persone con disabilità, il nostro Paese è tra gli ultimi in Europa e vi prevale ancora un modello fondamentalmente assistenzialistico e incentrato sulla delega alle famiglie
438 euro pro-capite all’anno, di fronte alla media dei Paesi dell’Unione europea di 531 euro (547 in Francia, 703 in Germania, 754 nel Regno Unito). Solo la Spagna (395 euro) si colloca più in basso dell’Italia nella graduatoria continentale delle risorse destinate alla protezione sociale delle persone con disabilità. E tuttavia, se si guarda alla sproporzione tra le misure erogate sotto forma di prestazioni economiche e tra quelle in natura (beni e servizi), il valore pro-capite annuo nel nostro Paese risulta ancora più desolante: 23 euro, ovvero meno di un quinto della spesa media europea (125 euro), cifra lontanissima dai 251 euro della Germania e meno della metà, perfino, di quanto rilevato in Spagna (55 euro).
Sono questi i principali dati presentati a Roma, frutto di una ricerca promossa dalla Fondazione Cesare Serono e realizzata dal Censis, sui bisogni ignorati delle persone con disabilità, studio basato sul confronto con gli altri Paesi europei in relazione all’offerta di servizi per malati cronici e disabili. «Secondo gli ultimi dati disponibili – dichiarano i promotori della ricerca -, in Italia le misure economiche erogate dall’INPS in favore di persone che hanno una limitata o nessuna capacità lavorativa sono pari a circa 4,6 milioni di prestazioni pensionistiche, di cui 1,5 milioni tra assegni ordinari di invalidità e pensioni di inabilità e 3,1 milioni per pensioni di invalidità civile, incluse le indennità di accompagnamento, il tutto per una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro all’anno. Ma il modello italiano rimane fondamentalmente assistenzialistico e incentrato sulla delega alle famiglie, che ricevono il mandato implicito di provvedere autonomamente ai bisogni delle persone con disabilità, di fatto senza avere l’opportunità di rivolgersi a strutture e servizi che, sulla base di competenze professionali e risorse adeguate, potrebbero garantire non solo livelli di assistenza migliori, ma anche la valorizzazione delle capacità e la promozione dell’autonomia delle persone con disabilità».
I dati raccolti confermano poi quanto denunciamo da tempo anche su queste pagine, vale a dire che l’Italia è ancora assai indietro sul fronte dell’inserimento lavorativo delle persone con disabilità. In questo caso il confronto è reso più complicato dalle differenti definizioni di disabilità in uso nei diversi Paesi europei, ma restando alla Francia, ad esempio, dove il 4,6% della popolazione ha un riconoscimento amministrativo della propria condizione di disabilità – quota simile a quella italiana -, si arriva al 36% di occupati tra i disabili inclusi nella fascia che vai dai 45 ai 64 anni, mentre in Italia il tasso si ferma al 18,4% tra i quindicenni-quarantaquattrenni e al 17% tra i quarantacinquenni e i sessantaquattrenni.
La ricerca della Fondazione Serono e del Censis evidenzia quindi le enormi difficoltà che si incontrano in questo àmbito, sia a trovare lavoro una volta completato il percorso formativo – è il caso, ad esempio, delle persone con sindrome di Down e o con disturbi dello spettro autistico – sia a mantenere l’impiego a fronte di una malattia cronica che causa una progressiva disabilità, come ad esempio in situazioni di sclerosi multipla. Meno di una persona Down su tre, infatti, lavora dopo i 24 anni e il dato scende al 10% tra gli autistici con più di vent’anni. E ancora, meno della metà delle persone con sclerosi multipla tra i 45 e i 54 anni è occupata, a fronte del 12,9% di disoccupati e del 23,5% di pensionati.
Altro interessante capitolo dello studio è quello riguardante l’offerta sanitaria e socio-sanitaria su cui possono contare le persone con disabilità italiane, valutata tramite il coinvolgimento di tutte le 147 ASL nazionali e basata sulla risposta di 35 di esse.
Ebbene, in riferimento ai servizi disponibili per le persone con sindrome di Down, 19 ASL su 24 hanno indicato la presenza di servizi di neuro e psico-motricità dell’età evolutiva e di logopedia, 16 hanno segnalato l’attivazione di progetti di educazione all’autonomia e 17 di altri servizi.
Per quanto riguarda invece le persone affette da disturbi dello spettro autistico, 21 ASL su 24 hanno segnalato l’offerta di servizi di logoterapia e 18 su 24 hanno dichiarato di garantire la terapia per la psicomotricità, mentre i servizi per le persone affette da sclerosi multipla si concretizzano soprattutto in riabilitazione motoria e logopedia, la prima garantita praticamente dalla totalità delle ASL, la seconda dalla metà.
Infine, per le persone con malattia di Parkinson, tutte le ASL hanno segnalato di garantire la riabilitazione motoria, la metà quella del linguaggio, un terzo la terapia occupazionale.
Ultima, ma non certo ultima, l’inclusione scolastica, rispetto alla quale se è vero – come scriviamo da sempre – che l’esperienza italiana di “scuola di tutti per tutti” rappresenta certamente un’eccellenza, anche i dati prodotti dall’indagine confermano che le attività di sostegno e di integrazione degli alunni con disabilità nella scuola appaiono sin troppo spesso inadeguate. A tal proposito, la Fondazione Serono e il Censis sottolineano che nell’anno scolastico 2010-2011, circa il 10% delle famiglie di alunni con disabilità ha presentato un ricorso al Tribunale Civile o al rispettivo Tribunale Amministrativo Regionale (TAR), per ottenere un aumento delle ore di sostegno.
Fonte: Superando.it
18/10/2012