Il ricercatore Sergio Pasquinelli (Irs) commenta gli ultimi casi di omicidi di anziani ad opera delle loro assistenti straniere. "Gli sportelli che mettono a contatto domanda e offerta di aiuto familiare sono una prima sentinella"
MILANO – Le radici della violenza che le badanti riversano sugli anziani si nascondono nella solitudine e nel senso dell’abbandono che esse vivono. Ecco la chiave secondo Sergio Pasquinelli, ricercatore dell’Irs per leggere i casi che negli ultimi mesi hanno visto assistenti familiari straniere protagoniste di delitti e portatrici di chiari disagi psichici. Una ucraina a Ravenna nel marzo 2011, un’altra a Seregno nel maggio 2012, fino all’ultimo l’omicidio di Cleofe Nizza, 91enne uccisa in provincia di Prato dalla sua assistente, Natia Tatarashvili, georgiana di 24 anni. "Questi episodi sono la conferma che c’è bisogno di luoghi dove le badanti possano incontrarsi e parlare, luoghi di mutuo aiuto per combattere la solitudine", spiega Pasquinelli.
La convivenza con l’anziano si aggiunge a una situazione affettiva già pesante per le badanti: "Hanno una rete di relazioni a distanza con figli e genitori difficile da mantenere – aggiunge il ricercatore -. Certe situazioni di maggiore fragilità possono diventare esplosive: senso di abbandono e senso di colpa e frustrazione per la famiglia distante compongono già un quadro emotivamente difficile". È qui che nasce la rabbia che si manifesta poi in raptus improvvisi. La situazione è talmente pesante da spingere le lavoratrici a cercare, il più delle volte, un lavoro da infermiere e in ospedali e residenze per anziani, piuttosto che continuare con l’assistenza a domicilio. "La direzione in cui muoversi è quella che punta a creare una filiera di tutte queste diverse forme di assistenza", prosegue il ricercatore. Al momento, però, non esistono nemmeno gli standard per capire quali sono le competenze di un’assistente familiare: "Il fai-da-te è totale: ci sono regioni più attente come Puglia e Emilia-Romagna, dove esiste un albo di assistenti accreditate, ma a livello nazionale è il vuoto totale", aggiunge Pasquinelli. Senza contare che quest’assenza di merito priva le badanti del riconoscimento per il proprio lavoro. La risposta alla solitudine e al mancato riconoscimento della propria professionalità non può che essere la creazione di reti che possano sostenere le badanti, che ricreino un tessuto sociale: "Gli sportelli con cui si mettono a contatto domanda e offerta di assistenza familiare sono una prima sentinella. Servono a monitorare le esigenze". L’ultimo progetto di questo genere è partito proprio in questi giorni e coinvolge l’area dell’alto milanese. I dettagli sono ancora da stabilire, ma a metà 2013 si avvierà una fase sperimentale in cui verranno creati degli spazi per gruppi di muto aiuto per badanti. (Lorenzo Bagnoli)
Fonte: Superabile.it
11/01/2013