Due storie esemplari di donne che, nonostante la propria disabilità, oppongono resistenza alla mafia e lavorano per contrastarla: Francesca Massimino ha ricevuto il premio "Donne, pace ambiente", Emma Leone a vent’anni ha incontrato don Giacomo Panizza e la Comunità Progetto Sud
ROMA – Chi va a trovarla nella sua stanza alla Comunità Progetto Sud, la trova sempre con una sfilza di giornali davanti, il computer e il telefono. Impegnata a "tenere le fila", delle tante iniziative sociali e antimafia che coordina. Si chiama Emma Leone, ha 58 anni e vive su una sedia a ruote. Le prime difficoltà a camminare si sono manifestate a 14 anni. Era il 1969 e in casa Leone c’erano altri tre fratelli con la stessa malattia. Sette figli in tutto, di cui quattro con la distrofia; Emma, l’unica ragazza. A vent’anni, nel 1975, Emma incontra don Giacomo Panizza, bresciano trapiantato in Calabria per fondare la Comunità Progetto Sud di Lamezia Terme. Oggi è un "prete sotto scorta" per aver sfidato la ‘ndrangheta. "Con l’entrata in comunità mi sono chiesta: perché queste persone spendono la loro vita con noi in carrozzina?". Così inizia a cambiare il suo modo di vedere le cose. E oggi si sente davvero "fortunata. Aver avuto la disabilità mi ha fatto vivere situazioni e scelte che danno senso alla mia esistenza – dice con un guizzo di luce negli occhi -Rifarei tutto; certo, se potessi modificherei alcuni malesseri fisici, ma sento di aver realizzato una vita piena". Il racconto del suo passato è sorprendente. "Negli anni Settanta i disabili venivano deportati negli istituti del Nord, ma i miei genitori non hanno mai seguito questo consiglio che arrivava da vicini e conoscenti – ricorda – I miei fratelli e io abbiamo incontrato persone che venivano dalla Comunità di Capodarco, ora in provincia di Fermo, per scambiare idee ed evitare questa ‘deportazione’. Alcuni disabili calabresi sono partiti per fare un’esperienza di autonomia proprio a Capodarco, nelle Marche".
Con il Comune di Lamezia è un braccio di ferro per ottenere la struttura abbandonata. Una battaglia vinta minacciando anche l’occupazione. "Siamo riusciti ad avere questo edificio forzando un po’ la mano e, prima di entrarci, l’abbiamo ristrutturato rendendolo accessibile, per avviare un’autogestione economica e strutturale. In carrozzina facevamo i turni per cucinare e lavare i piatti, senza differenze tra uomini e donne", ricorda. Agli inizi, nel ‘76, la comunità era costituita da 20 disabili adulti e una bambina. "L’obiettivo era aiutare le persone a crescere in autonomia, portarle a scegliere il proprio progetto di vita. Incontravamo gruppi, giovani, parrocchie, per dire che anche una persona con disabilità può gestire la propria vita". In comunità Emma incontra anche l’amore. A metà degli anni Ottanta, dopo l’approvazione della legge sul servizio civile, arriva in comunità il primo obiettore di coscienza, Beppe, che diventa suo marito e anche il mentore che la porta sulla strada del pacifismo. "Mi affascinava il discorso della non violenza, di dire no alle armi". Contro la guerra del Golfo c’era anche lei con il suo corpo, a comporre la scritta umana ‘No war’ a Catanzaro, davanti alla Regione Calabria.
Ha fondato anche il Crep (Coordinamento regionale educazione alla pace), per formare volontari e insegnanti come educatori della non violenza. "Poi mi sono fermata: dovevo vivere con il respiratore, non avevo più le forze". Ma per lei stare ferma non è possibile. Inizia con l’attivismo antimafia: Progetto Sud riesce a ottenere il primo bene confiscato alla ‘ndrangheta in città. È una casa di tre piani nel quartiere di Capizzaglie; apparteneva al clan dei Torcasio, che vivono ancora nel cortile accanto. "Ci sono voluti dieci anni di lotte per averlo: eravamo soli. Dopo di noi, tante altre associazioni hanno chiesto beni confiscati: abbiamo sbloccato la situazione", racconta. Oggi nel palazzo confiscato hanno sede l’associazione "R-evolution Legalità" ideata da Emma, una comunità per disabili anziani e un’altra di accoglienza per minori stranieri soli. "Man mano che vado avanti, la distrofia diventa sempre più prepotente – confida senza un filo di rimpianto -. Da quattro anni e mezzo non esco più: sto 24 ore su 24 in una stanza ma vivendo, senza subire la situazione. Ciò che mi interessa lo porto avanti da qui: non ci tengo a essere presente, mi sta a cuore il territorio". Intanto i clan diventano sempre più prepotenti. Le intimidazioni contro don Giacomo e la Comunità Progetto Sud si sono trasformate in veri attentati. A due persone disabili sono stati manomessi i freni delle automobili perché andassero a schiantarsi: ne sono uscite miracolosamente illese. Contro il bene confiscato, una bomba a Natale e spari di proiettili in varie occasioni: gli ultimi durante le feste pasquali. Ma a Lamezia anche il sindaco Gianni Speranza è solidale con loro: "Sono fiducioso che gli inquirenti riusciranno a spiegare chi sono i responsabili e quali sono i motivi di questi continui attentati intimidatori. Saremo a fianco della comunità Progetto Sud e della sua attività quotidiana".
Fonte: Superabile.it
11/03/2013