Un team di ricercatori del nostro Paese e americani hanno identificato un gene coinvolto nella malattia
MILANO – Tenere viva la speranza, ma uccidere l’illusione. È il difficile equilibrio con cui chi si occupa di ricerca è costretto a confrontarsi tutti i giorni. In particolare se si tratta di una patologia neurodegenerativa, complessa, misteriosa e purtroppo fatale come la Sla. La battaglia contro questa malattia è ancora molto lunga, ma i ricercatori non si danno per vinti. Anzi, negli ultimi anni sono stati raggiunti importanti traguardi. L’Italia, in particolare, è un fiore all’occhiello: è il secondo Paese per lavori scientifici prodotti sull’argomento. E parla italiano anche l’ultimo importante studio sulla Sclerosi laterale amiotrofica, pubblicato su Neuron , la più importante rivista scientifica internazionale nel campo delle neuroscienze.
MALATTIA ANCORA «SCONOSCIUTA» – La Sclerosi laterale amiotrofica è una malattia neurodegenrativa progressiva, tipica dell’età adulta. Colpisce circa tre persone su 100mila e tendenzialmente di più i maschi rispetto alla femmine (il rapporto è 4 a 3). In Italia si stima ci siano circa 5 mila persone affette da questa patologia, che colpisce i motoneuroni – i responsabili del controllo delle contrazioni volontarie dei muscoli – causando una progressiva paralisi, ma risparmiando le funzioni cognitive, sensoriali, sessuali e sfinteriali (vescicali e intestinali). La malattia è anche nota con il nome di morbo di Lou Gehrig, dal nome del campione del baseball americano morto per questa patologia. Il suo caso rappresentò il punto di partenza di uno dei filoni di ricerca sulle cause, che mette in relazione la malattia e l’attività agonistica. Ma questa ipotesi non ha, al momento, ricevuto conferme. La Sla è in genere fatale entro 3-5 anni dall’esordio e non si dispone purtroppo di alcuna terapia farmacologica efficace, ad eccezione di un farmaco che ha dimostrato di avere qualche effetto nel rallentare la progressione della malattia.
IL RUOLO DEI GENI – Le cause della Sla non sono ancora del tutto chiare, ma di certo si sa che concorrono fattori sia genetici che ambientali. Ancora però non si sa in che modo questi fattori concorrano nello sviluppare la Sclerosi laterale amiotrofica. Inoltre la patologia non sempre è eriditaria (Sla famigliare), dato che nella maggioranza dei casi può insorgere senza che vi siano precedenti in famiglia (Sla sporadica). Sul fronte degli studi genetici, un team di ricercatori italiani e americani ha identificato un gene (c9orf72), coinvolto nella malattia: lo studio collaborativo ha analizzato 268 casi familiari di Sla (americani, tedeschi ed italiani) e 402 casi familiari e sporadici di Sla finlandesi ed ha permesso di scoprire che il 38% dei casi familiari e circa il 20% dei casi sporadici erano portatori di un’alterazione di questo gene. «Questo non significa che abbiamo trovato l’unica causa della Sla, mancano ancora diversi tasselli al nostro puzzle – ricorda il profESSOR Adriano Chiò, responsabile del centro Sla delle Molinette di Torino e tra gli autori dello studio – però un malfunzionamento del c9orf72 spiegherebbe almeno il 60% dei casi». In particolare, la frequenza di pazienti Sla portatori di questa mutazione è doppia rispetto a quella del SOD1, il primo gene identificato nella Sclerosi laterale amiotrofica nel 1993. L’identificazione del gene è però solo un primo passo: «La fase successiva consisterà nell’analizzare la proteina e capire che funzione ha e in che modo interagisce con la malattia». Da qui poi si potranno sviluppare tecniche più mirate per la terapia: «Ma dobbiamo restare con i piedi per terra, ci vorrà ancora molto tempo». Allo studio hanno collaborato il laboratorio di Neurogenetica del National Institutes of Health (Bethesda, USA, diretto dal dottor Bryan J. Traynor); il Centro Sla del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale Molinette di Torino (diretto dal professor Adriano Chiò); il laboratorio di Genetica molecolare dell’ospedale OIRM Sant’Anna di Torino (diretto dalla dottoressa Gabriella Restagno); il centro Sla dell’università Cattolica del Sacro Cuore (diretto dal professor Mario Sabatelli); ed il centro Sla dell’università di Cagliari (diretto dal dottor Giuseppe Borghero).
RICERCA ITALIANA ALL’AVANGUARDIA – Un successo importante sul fronte degli studi genetici della malattia, che vede l’Italia all’avanguardia non solo per numero di lavori prodotti (siamo il secondo Paese dopo gli Stati Uniti), ma anche per modalità di far ricerca: lo studio pubblicato su Neuron è stato realizzato da Italsgen, il consorzio italiano per lo studio della genetica della Sla, che riunisce 14 centri italiani (universitari e ospedalieri). «La Sla è una malattia su cui c’è ancora tanto da fare e di cui si sa ancora troppo poco – spiegano Adriano Chiò e Gabriele Mora di Italsgen – per dare delle concrete speranze alle persone che soffrono, bisogna fare ricerca unendo le forze. Noi abbiamo messo da parte la competizione e abbiamo creato un gruppo che, prima di tutto, è composto da amici. E abbiamo ottenuto un eccezionale risultato». Ma la capacità di convogliare le risorse, senza disperdere i contributi che enti e privati forniscono per la ricerca sulla Sla, è anche il principale obbiettivo di AriSLA, un’agenzia creata ad hoc tre anni fa. Ogni anno i soci fondatori (fondazione Cariplo, fondazione Telethon, Fondazione Vialli e Mauro per la ricerca e lo sport e Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica) mettono a disposizione un milione di euro, ai quali si sommano le donazioni dei privati. L’agenzia pubblica un bando per progetti di ricerca (esclusivamente italiani) che vengono selezionati da un board di esperti internazionali: «I risultati della ricerca italiana in questo ambito – commenta il professor Mario Melazzini, presidente di AriSLA – sono straordinari se si pensa che l’Italia non gode certamente degli stessi investimenti degli Stati Uniti. Questo dimostra come la nostra comunità scientifica sia tra le più fertili». Al secondo convegno di AriSLA, che si è tenuto a Milano lo scorso 27 settembre, sono stati presentati otto nuovi progetti di ricerca, che spaziano dalla mappatura genetica della Sla, alla realizzazione di strumenti di diagnosi veloce.
LA GIORNATA NAZIONALE – Negli ultimi anni la sensibilità verso questa malattia è cresciuta. A cominciare dal 18 settembre 2006, quando davanti alla sede del ministero della Salute, si riunì un primo sit in di malati di Sla, che chiedevano all’allora ministro Livia Turco più attenzione. Da allora ogni anno, nello stesso periodo, l’Associazione italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, ente di riferimento per le persone colpite da Sla, istituisce una giornata nazionale contro la malattia. Quest’anno l’appuntamento è il 2 ottobre in oltre 90 piazze italiane con l’iniziativa «Quello buono sostiene la ricerca»: con un contributo di 10 euro sarà possibile ricevere una bottiglia di pregiato Barbera d’Asti DOCG, creata in edizione limitata apposta per l’occasione. I fondi raccolti saranno devoluti per finanziare un progetto di ricerca.
di Maddalena Montecucco
Fonte: Corriere.it
13/10/2011