VENEZIA – Nel 1972 Gino De Dominicis portò come opera d’arte alla Biennale un ragazzo affetto dalla sindrome di Down, lo tenne seduto e intitolò l’intervento «Seconda soluzione d’immortalità, (l’universo è immobile)». Successe il finimondo con strascichi legali, accuse di sfruttare cinicamente la malattia per pura gloria, i genitori del ragazzo dopo il consenso iniziale reagirono con durezza contro l’artista. Cinismo o meno, negli anni in cui il pensiero e l’azione di Franco Basaglia smantellavano i manicomi vedere una persona down in mezzo all’arte ebbe un effetto deflagrante, portò a galla paure, ipocrisie, voglia di non vedere e non sapere. Ora non è molto diverso. Ma, grazie alla Comunità di Sant’Egidio di Roma, venerdì 14 la Biennale lagunare compie un passo che si spera ne anticipi di più audaci in futuro: con l’università della Sapienza, alle 14.30 nella Biblioteca presso il Padiglione centrale ai Giardini di Castello l’artista italo-brasiliano César Meneghetti presenta il progetto voluto dai volontari di Sant’Egidio «IO_Io è un altro», dal titolo esplicitamente preso dall’«io è un altro» di Rimbaud per ricordarci quanto siano labili le nostre individualità di presunti sani. Ne parlano in tanti: tra gli altri Simonetta Lux, docente di storia d’arte contemporanea che segue i laboratori per disabili di Sant’Egidio, Cristina Cannelli, storica dell’arte, che quei laboratori coordina, Alberta Basaglia, psicologa, vicepresidente della Fondazione Basaglia, Beppe Sebaste, scrittore che collabora con l’Unità.
DAI LABORATORI IN PERIFERIA AL DIPINTO SUI MIGRANTI
Il progetto matura nei laboratori d’arte nelle periferie di Roma e di fatto sovverte alla radice quanto combinò De Dominicis: i disabili sono protagonisti in quanto autori di dipinti, sculture, collage che in più casi potrebbero figurare in una rassegna d’arte contemporanea e pochi capirebbero che le hanno create persone con carenze fisiche e/o mentali. E non stride che se ne occupi Meneghetti, artista, fotografo e video maker attento a temi come le migrazioni, il nord e il sud, i rapporti umani: dal marzo 2010 documenta e intervista le donne e gli uomini che elaborano forme e immagini in grado di trascendere i limiti verbali e logici che frenano la loro vita e, spesso, pure la comunicazione razionale tra cittadini «normali». Basti citare qui una tela collettiva lunga una decina di metri, esposta prima al museo di Trastevere e poi in una scuola al Tufello, che attraverso impronte di piedi su fondo verde-blu picchiettato con effetto dripping alla Pollock costruisce una metafora efficace e nient’affatto didascalica dei migranti che vanno, vengono, magari muoiono in mare, restando per lo più ignorati. Qualcosa che gli autori del dipinto conoscono sulla propria pelle.
Fonte: Disablog.it
17/10/2011