"Parla Ilaria Tarricone, coordinatrice del Centro di ricerca di psichiatria transculturale e della migrazione G. Devereux dell’Università di Bologna: "Ma le migranti hanno personalità più forti del normale. Non esiste un ‘problema’ badanti"
BOLOGNA – Lontananza dalla famiglia, carichi di lavoro troppo pesanti che creano condizioni di stress, e annullamento della propria personalità in favore di un’attenzione totale nei confronti delle persone per cui lavorano. Sono queste, secondo Ilaria Tarricone, coordinatrice del Centro di psichiatria transculturale e della migrazione "Georges Devereux" dell’Università di Bologna, le cause maggiori di disturbi psicologici tra le donne migranti che in Italia svolgono lavori da "badante". Però, sottolinea Tarricone, "questi casi sono molto rari al nostro Centro di salute mentale, anche perché tendenzialmente i migranti sono persone con caratteristiche di personalità forti e capaci di reggere maggiormente le pressioni rispetto ai ‘nativi’". Tuttavia, "è chiaro che si tratta di persone più soggette a condizioni avverse", e ciò può alla lunga contribuire a creare condizioni di stress. Tra queste cause o tra la somma di esse, dunque, andrebbe forse ricercata quella "scintilla scatenante", che talvolta porta le "badanti" ad esplosioni di rabbia inaudita, come nell’ultimo caso di cronaca nera: Natia Tatarashvili, una ragazza georgiana di 24 anni, ha accoltellato ed ucciso una signora di 90 anni per cui lavorava a Prato, spiegando che il suo gesto era dovuto alle continue critiche che le rivolgeva l’anziana.
"Ogni caso è diverso dall’altro – commenta però Tarricone – e bisogna anche verificare se la ragazza accusava davvero disturbi psichici e dovuti a che cosa". E’ "certamente vero che ci sono condizioni comuni a questo tipo di persone che possono influire sulla personalità", ma "i casi sono talmente pochi rispetto al numero di migranti che lavorano in Italia che non si può certo parlare di un ‘problema sociale’". Al Centro Devereux, Tarricone si occupa di ricerca e nei suoi studi ha potuto constatare quanto le badanti siano "accomunabili ai migranti uomini, perché di solito sono soggetti di ‘prima migrazione’, ovvero le prime della famiglia a lasciare il paese di origine per trasferirsi all’estero". Questo le rende "responsabili per se stesse e per il resto della famiglia, che spesso aspetta i soldi a casa". Così come per gli uomini, anche per le migranti "i primi disturbi cominciano a svilupparsi dopo diverso tempo che risiedono in Italia", si parla "mediamente di circa sette anni".
Potrebbe darsi, dunque, che "il carico di lavoro e di responsabilità alla lunga possano sviluppare quadri depressivi di disadattamento". Tuttavia le cause "vanno sempre ricercate nella storia del disturbo e del paziente: i richiedenti asilo politico, ad esempio, spesso hanno sofferto traumi che possono indurre il soggetto a sviluppare dei disturbi psichici". La coordinatrice del Centro Devereux porta ad esempio anche un altro caso: "Esiste un problema relativo alla permanenza nei centri di detenzione temporanea- sostiene- permanenza che spesso può causare o aggiungersi a disturbi già presenti, raggiungendo livelli insostenibili per i pazienti". Per questo "bisogna lavorare su tutti indiscriminatamente e non solo su chi ha il permesso di soggiorno". Anche perché nei casi più estremi "si possono sviluppare alterazioni della sfera psicotica, con perdita dei confini della propria persona e del mondo interno o esterno". Ecco, questi casi possono sfociare in episodi simili a quello di Prato. Sulla questione interviene anche Domenico Berardi, che coordina l’attività clinica del Centro Devereux: "Ogni migrante ha un’esperienza personale diversa, con provenienze geografiche differenti". Le migranti provenienti dall’Est, ad esempio, "soffrono meno di problemi di adattamento rispetto a quelli provenienti dal Nord Africa – spiega Berardi – perché le differenze con il loro paese di origine non sono così tante". E’ invece "più frequente una sorta di annullamento della propria personalità, perché queste donne sono totalmente concentrate ed immerse nella vita di coloro che seguono e per cui lavorano". Ma, ribadiscono in conclusione sia Tarricone che Berardi, "stiamo parlando di un numero di casi ridottissimo". (Giovanni Baiano)
Fonte: Superabile.it
10/01/2013