Le persone che usano una sedia a rotelle per muoversi mostrano una forte associazione tra essa e il proprio corpo. Ma più le attività funzionali sono compromesse, più lo strumento viene sentito estraneo. Ne parla uno studio su PLoS One, che apre possibili applicazioni nel campo della riabilitazione.
ROMA. Provate a parcheggiare una macchina che non è la vostra, e vi renderete conto di quanto la percezione che abbiamo del nostro corpo e di quello che gli è intorno è altamente modificabile. Per lo stesso motivo, le persone con deficit motori conseguenti a una lesione spinale, che usano una sedia a rotelle per muoversi, mostrano una forte associazione tra essa e il proprio corpo. Ma come fa il cervello a incorporare i riferimenti spaziali della nostra auto, quali sono i meccanismi cerebrali che sottendono a questo fenomeno e soprattutto cosa avviene quando si utilizzano protesi o ausili per favorire il recupero funzionale dopo lesioni del sistema nervoso centrale? La risposta giunge da un lavoro pubblicato su PLoS One, frutto della collaborazione tra l’IRCCS Fondazione Santa Lucia e il Dipartimento di Psicologia della Sapienza Università di Roma.
Lo studio, che si è avvalso dei finanziamenti dell’International Foundation for Research in Paraplegia (IFP-IRP),è stato condotto da Mariella Pazzaglia e Giulia Galli in collaborazione con Marco Molinari e Giorgio Scivoletto presso la Sezione Mielolesi della Fondazione Santa Lucia. Le mielolesioni sono patologie che interrompono le vie di collegamento tra il corpo e il cervello; tali lesioni pregiudicano gravemente la mobilità del paziente che è costretto a ricorrere a dispositivi come la carrozzina, o in alcuni casi a strumenti di raffinata tecnologia.
I ricercatori hanno scoperto che i pazienti che ricorrono quotidianamente alla carrozzina,indipendentemente dal tempo trascorso dalla lesione o dalla personale esperienza nell’utilizzo dello strumento, percepiscono i confini del proprio corpo come se fossero plastici e flessibili. In questo modo la carrozzina viene assimilata oltre i confini biologici del corpo stesso. Non tutti i pazienti, tuttavia, "incorporano" la sedia a rotelle allo stesso modo: coloro che hanno una più estesa compromissione delle attività funzionali, vivono con questi strumenti un rapporto di maggiore estraneità, cosa che inevitabilmente condiziona la loro libertà di gestire il "nuovo corpo" attraverso lo strumento “incorporato”. Tali evidenze convergono nell’indicare la carrozzina come sostituto tangibile e funzionale per le parti del corpo danneggiate dalla lesione e non solo una semplice estensione degli arti inferiori. Questa osservazione dimostra come il semplice utilizzo di un ausilio influisca sulla plasticità cerebrale e sulla organizzazione della rappresentazione cerebrale del corpo. Ciò apre a possibili applicazioni nel campo della riabilitazione segnalando come sia importante il raggiungimento di un equilibrio armonioso tra corpo e ausilio per favorire il successo terapeutico dello stesso.
Per spiegare in che modo, il team di ricerca consiglia la visione del video che segue. Le immagini sono fornite da Sue Austin, un’artista disabile che ha modificato la sua sedia a rotelle in modo da poterla utilizzare sott’acqua ed esplorare gli così gli abissi degli oceani. Il video è una rappresentazione delle potenzialità che il meccanismo descritto nello studio può offrire.
Fonte: Quotidiano Sanità.it
18/03/2013