Il paradosso evidenziato nel recente rapporto "Costruiamo il welfare di domani", che propone una riforma del sistema in tre punti. Italia tra i paesi più inefficaci nell’abbattimento della povertà. Agli anziani una quota molto più alta che ai giovani
ROMA – Paradossi italiani: la spesa per assistenza sociale finisce in una parte considerevole nelle tasche di chi non ne ha bisogno, cioè famiglie con reddito elevato. Questo vale per interventi giustificabili come l’indennità di accompagnamento, ma anche per contributi di integrazione al reddito, che finiscono dove davvero non ce n’è bisogno. Il paradosso è messo nero su bianco nel rapporto "Costruiamo il welfare di domani", realizzato da Prospettive sociali e sanitarie, Ars (Associazione per la ricerca sociale), Capp (centro di ascolto delle politiche pubbliche), Istituto per le ricerche sociali (Irs) con il patrocinio della Fondazione Cariplo. Il rapporto è stato anticipato oggi al vicemnistro del Welfare Maria Cecilia Guerra e sarà presentato pubblicamente il 26 settembre a Milano.
Non stupisce, dunque, che l’Italia sia terz’ultima davanti solo a Bulgaria e Grecia nell’abbattimento della povertà, cioè nell’impatto che la spesa (calcolata in 18 miliardi) ha nella riduzione effettiva fenomeno: 19,7 per cento, contro una media Ue27 del 35,2 per cento, lontanissimi dal dato dell’Irlanda che sfonda quota 60 per cento.La spesa per l’assistenza, stimata in 67 miliardi di euro nel 2011, vale il 4,3 per cento del Pil e il 14 per cento delle risorse per la protezione sociale, che comprende anche previdenza, sanità e ammortizzatori sociali. Risorse che, però, non vengono fatte fruttare e, al contrario vengono mal distribuite. È vero soprattutto per assegni sociali e integrazione al reddito che, non basandosi sull’indicatore Isee, consentono l’accesso anche a persone con reddito elevato.
I dati lo testimoniano: del complesso dei 51 miliardi analizzati, l’11 per cento è destinato al 20 per cento più ricco della popolazione. Complessivamente al 40 per cento più ricco affluiscono 13,8 miliardi, pari al 27 per cento dei trasferimenti. "Questo avviene perché la spesa sociale non è redistributiva, ma si disperde – spiega Emanuele Ranci Ortigosa, presidente Ars,direttore scientifico Irs e direttore di Prospettive Sociali e Sanitarie -. Se questo va anche bene per alcuni ambiti, come la non autosufficienza, di cui è giusto che beneficino anche famiglie ad alto reddito, non va bene per altri interventi a integrazione del reddito".
Anche sul fronte dell’equità le cose non vanno troppo bene: la quota destinata agli anziani è molto maggiore rispetto alla quota per i giovani, specialmente per gli interventi contro la povertà. Ma anche da un punto di vista geografico le disparità non mancano: "La riduzione di povertà realizzata dai trasferimenti è ben più accentuata in alcune regioni, mentre in altre l’impatto è più modesto" sottolineano i ricercatori". Risorse scarse e male utilizzate, monetizzazione diffusa delle prestazioni a scapito dei servizi, frammentazione degli interventi, debole sussidiarietà orizzontale, centralismo sono solo alcune delle criticità, da cui consegue scarsa efficacia, equità ed efficienza del sistema. Una migliore gestione delle risorse diventa fondamentale, soprattutto in tempi di crisi, per riuscire a massimizzare l’efficacia degli interventi, migliorare l’equità, ottimizzare il rapporto costo/qualità e realizzare il welfare comunitario.
Dall’analisi dei dati nasce la proposta di riforma del sistema socio assistenziale italiano contenuta nel rapporto e presentata oggi, che si propone di superare i cronici limiti che affliggono il sistema. La proposta guarda in particolare a tre ambiti: la non autosufficienza, il sostegno alle famiglie, la povertà.
Fonte: Superabile.it
17/07/2013