Sostegno, Mantegazza (univ. Bicocca): Personalizzare la relazione educativa per tutti

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Sostegno, con quattro sentenze la Corte costituzionale ridisegna la platea dei richiedenti. Non solo i genitori ma anche i fratelli assenti giustificati.

ROMA. Ennesimo intervento – quarto in ordine di tempo – dei giudici della Corte Costituzionale sui soggetti legittimati a beneficiare del congedo straordinario per l’assistenza ai disabili in situazione di gravità, introdotto dalla legge n. 388/2000 e disciplinato dall’art. 42 del decreto legislativo n. 151/2001 e successivi modificazioni e integrazioni. Nella formulazione originaria del comma 5 dell’art. 42, il diritto a fruire del congedo straordinario per assistere un figlio con handicap in situazione di gravità, non ricoverato a tempo pieno in strutture specializzate, previsto per la durata massima di due anni nell’arco della vita lavorativa, era limitato alla lavoratrice madre o, in alternativa, al lavoratore padre o, dopo la loro scomparsa, a uno dei fratelli o sorelle conviventi con il soggetto disabile. Per effetto delle sentenze emanate dei giudici della Consulta, le n. 233 dell’ 8 giugno 2005, n. 158 del 18 aprile 2007 e n. 19 del 26 gennaio 2009, il comma 5 dell’art. 42 oggi in vigore ha esteso la platea dei pubblici dipendenti, ivi compresi i dipendenti della scuola aventi diritto del congedo straordinario anche: – ai fratelli e sorelle conviventi nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato, perché totalmente inabili: – anche al coniuge convivente con soggetto con handicap in situazione di gravità,in via prioritaria rispetto agli altri congiunti indicati nel comma 5; – al figlio convivente, in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave. Con la sentenza 18 luglio 2013, n. 203, ultima in ordine di tempo, i giudici della Corte Costituzionale hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 5 dell’art. 42 attualmente in vigore, nella parte in cui non include nel novero dei soggetti legittimati a fruire del congedo straordinario ivi previsto, e alle condizioni ivi stabilite, il parente o l’affine entro il terzo grado convivente – nonché, per evidenti motivi di coerenza e ragionevolezza, gli altri parenti e affini più prossimi all’assistito, comunque conviventi ed entro il terzo grado – in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti degli altri soggetti individuati dalla predetta norma secondo un ordine di priorità, idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave. Spetterà ora al Legislatore recepire con apposita norma quanto dispone la sentenza e inserirla nel contesto del più volte citato comma 5. Per effetto degli interventi dei giudici della Consulta, il congedo straordinario in questione, originariamente concepito come strumento di tutela rafforzata della maternità in caso di figli portatori di handicap grave, ha assunto una portata più ampia. La progressiva estensione del complesso dei soggetti aventi titolo a richiedere il congedo, ne ha infatti dilatato l’ambito di applicazione oltre i rapporto genitoriali, per ricomprendere anche le relazioni tra figli e genitori disabili, e ancora, in altra direzione, i rapporti tra coniugi e fratelli. Una estensione che certamente rafforza le possibilità di assistenza dei soggetti disabili in situazione di gravità. Occorre ora individuare ogni strumento idoneo ad evitare che un istituto di alta civiltà, quale deve essere considerato il congedo straordinario, possa essere utilizzato in maniera impropria, come sta avvenendo nell’utilizzo di un altro beneficio previsto dall’art, 33 della legge 104/1992, quello cioè che consente di fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito per assistere un parente handicappato in situazione di gravità, ancorché con i limiti indicati dal comma 3-bis dell’art. 6 del decreto legislativo 18 luglio 2011, n. 119. In particolare il comma impone al lavoratore che chiede di assistere un parente disabile residente in comune situato a distanza stradale superiore a 150 chilometri rispetto a quella di residenza del lavoratore, di attestare con titolo di viaggio, o altra documentazione idonea, il raggiungimento del luogo di residenza dell’assistito nei giorni di permesso.

Fonte: Italia Oggi.it

20/08/2013