Il documentario, realizzato gratuitamente dal regista Fabio Feliciani e dalla Quater film di Corrado Grego, racconta la storia dei sei ballerini sordi del gruppo "The silent beat". E risolleva il tema della lingua dei segni in opposizione all’approccio solo logopedista
ROMA – Da Vico Equense all’Australia, passando per le scuole di Roma: sono le prossime tappe del docufilm "Io Segno un Mondo", i cui protagonisti sono sei ballerini sordi, che raccontano – attraverso la danza e la musica sprigionate dai loro corpi – le proprie difficoltà, le proprie speranze, il proprio punto di vista sulla vita di oggi. "Siamo nella fase di presentazione, al momento abbiamo iscritto "Io Segno un Mondo" al Social World Film Festival, la rassegna del cinema sociale che si terrà dal 1 al 9 giugno in costiera sorrentina, e pure al The Other Film Festival in Australia la prossima estate. Ma abbiamo anche preso accordi per portarlo, il prossimo anno scolastico, nelle scuole secondarie di Roma e pensiamo già alle università". A parlare è Corrado Grego, il produttore esecutivo di questo lungometraggio, diretto da Fabio Feliciani e realizzato a titolo gratuito, oltre che dai protagonisti, anche dall’intera troupe tecnica della Quater Video.
Non è affatto semplice diffondere un documentario, il cui obiettivo è far sentire "il gran rumore del mondo dei sordi", che dovrebbero andare a chiedere agli udenti diritti, servizi, informazioni; basta con le concessioni!", come dice in una scena Cecilia, una delle ballerine sorde. Il film alterna scene di ballo a momenti di vita quotidiana e perfino visioni oniriche, ma soprattutto testimonia la forza di questo gruppo, "The Silent Beat", che supera gli ostacoli della propria vita con il ballo, insegnato attraverso la Lis, la lingua dei segni italiana. "Il mio desiderio era quello di insegnare alle persone sorde a vedere la musica e ad interpretarla ballando", ci spiega Ambra Bianchini, ideatrice di "Io Segno un Mondo" e coreografa laureata in psicologia, che, dopo aver imparato la Lis, ha studiato un suo metodo di danza per sordi. "Con l’aiuto dei segni mostro, spiego e racconto loro il ritmo: i segni stessi diventano movimenti coreografici. La trasformazione della musica in visiva, grazie alla Lis, dà indipendenza ritmica ai ragazzi".
I protagonisti di questo film incarnano il perfetto esempio di come parola e segno possano coesistere. "Io sogno un mondo dove ‘oralisti’ (cioè i sordi che non segnano) e ‘segnanti’ non si fanno la guerra", dichiara, alla fine del film, con la propria voce, Roberto, papà sordo di una bambina udente, che racconta anche la sua personale esperienza di quando, da piccolo, non conoscendo la Lis, "viveva senza informazioni e conoscenza".
Nel docufilm, attraverso le storie che si intrecciano e gli stessi i momenti di ballo, si evidenzia come la lingua dei segni favorisca la comprensione della musica e più in generale del mondo, superando il limite della parola non udita. E’ venuto il momento – sembra il messaggio ultimo – di superare l’opposizione tra un approccio esclusivamente "logopedista", fatto solamente di impianti cocleari, e la Lingua dei segni, che non uccide la parola, bensì abbatte le barriere della comunicazione.
D’altra parte, nonostante diversi disegni di legge, l’ultimo depositato in Parlamento a fine gennaio scorso, e anni di impegno da parte dell’Ente nazionale Sordi, l’Italia resta l’unico paese europeo, insieme a Malta e Lussemburgo, che non ha ancora riconosciuto ufficialmente la lingua dei segni. In questo difficile scenario, i "Silent Beat" e la loro coreografa non si arrendono, anzi rilanciano: "Perché la Rai non trasmette in prima serata il nostro documentario per diffondere questa realtà?". Ad oggi la domanda resta inascoltata.
Fonte: Superabile.it
24/03/2014