Falsi invalidi, il Tar sconfessa l’Inps: lesi i diritti dei veri disabili

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TERNI. È quel suo essere sempre un po’ bambino, ingenuo e inconsapevolmente profondo. Sono quelle sue domande a raffica, che iniziano sempre dalla stessa: «Mamma, ti posso parlare?». Matteo, il figlio. Maria Grazia, la madre. E a ruoli invertiti, quando lei si ammala e lui le offre il suo amore silenzioso. È la storia di una famiglia, quella raccontata in prima persona da Maria Grazia Proietti, medico di Terni, impegnata a combattere un tumore al seno con accanto il figlio ventenne, affetto da una forma di autismo chiamata Sindrome di Asperger.

È una storia dove tutto si tiene: la "malattia" del ragazzo e quella della madre. Una storia dove ciascuno dei due trova una sponda nel dolore dell’altro e dall’altro prende il coraggio per affrontarlo. Lei è donna di grande fede, dottoressa volontaria nelle missioni africane, animatrice dei gruppi della Comunità di Sant’Egidio della sua città. Lui è un figlio molto amato, accudito e accompagnato a un grado di autonomia che gli consente di lavorare fuori casa e di provvedere a se stesso. In mezzo c’è la battaglia di lei contro il tumore, la chemioterapia, la debolezza, l’altalena di buone e cattive notizie. È un’alleanza forte, quella raccontata in Mamma, ti posso parlare? di Maria Grazia Proietti (a cura di Michele Casella, edizioni San Paolo, pagine 144, euro 12), un sodalizio familiare dove lei trae forza dalle conquiste di lui. Così quando Matteo per la prima volta, ormai adulto, entra in un negozio da solo, chiede informazioni, sceglie, paga e prende il resto, la madre, nel pieno della terapia più violenta, apre il cuore alla speranza. «Oggi il pensiero di morte per me è stato scacciato dal pensiero di speranza per Matteo». Gli anni dell’infanzia, l’attesa della diagnosi della ‘diversità’, la fatica della scuola, tutto ritorna in mente a Maria Grazia quando l’orizzonte della vita si fa più corto e la solitudine e l’isolamento addolorano più della malattia.

Matteo con le caratteristiche tipiche della sua sindrome (la memoria straordinaria, l’attaccamento alle abitudini, la competenza su un determinato argomento, nel suo caso, gli animali e i treni, la capacità di cogliere i particolari e di vedere ‘dietro’ le cose, l’estrema sensibilità, ma anche le intemperanze e gli improvvisi scatti di nervosismo e di rifiuto) offre alla madre la via di fuga dall’incalzare del tumore: non certo per nascondere la verità dietro a un raccontino per bambini (Matteo coglie i piccoli segni come il buchino della flebo, la parrucca, le nausee), ma per far prevalere la normalità della vita di famiglia. Il figlio autistico aiuta la madre a indossare la parrucca, tutti i giorni, e da lui «mai uno sguardo di quelli un po’ pietosi che ti getta addosso chi vorrebbe aiutarti e, invece, ti fa sentire diversa. Mamma sei bellissima, me l’ha continuato a dire anche quando era evidente che non lo fossi. E in queste sue parole ci sono il mio coraggio, la forza di non vergognarmi, la sicurezza di sentirmi bella. Matteo, il figlio autistico, che io dovrei aiutare, aiuta me». E nella trasformazione da medico a paziente, Maria Grazia scopre che «non c’è medicina migliore dell’amore e dell’amicizia delle persone che credono nella tua guarigione. La calda e grande mano di Matteo che mi sfiora delicatamente mi sembra aiuti a combattere la malattia. È come se quel calore riuscisse a entrarmi dentro. Matteo non più tutto chiuso nel suo mondo, non più in balia delle sue emozioni, ma forte accanto alla madre malata. Una storia di vita che anche monsignor Vincenzo Paglia, prima vescovo di Terni, oggi presidente del Pontificio Consiglio per la famiglia, ha voluto commentare nella postfazione al libro: « Mamma, ti posso parlare – scrive Paglia – parla della fragilità umane. Debolezza misteriosa come quella della mente e minacciosa come la malattia che si annida, all’improvviso, per sfidare la vita».

Fonte: Avvenire.it

24/03/2014