Lo ha stabilito il Tribunale di Ascoli Piceno, condannando il Comune marchigiano a risarcire una persona con grave disabilità, alla quale per otto anni non era stata appunto riconosciuta l’assistenza domiciliare indiretta. Si tratta di un provvedimento che, andando oltre lo stesso caso specifico, fornisce un’ulteriore testimonianza di quanti siano gli àmbiti in cui applicare positivamente una norma come la Legge 67/06, che tutela le persone con disabilità dalle discriminazioni
«È la prima Sentenza in Italia che riconosce la discriminazione, nel senso di mancata erogazione di servizi sociali»: salvo smentite, non possiamo che confermare quanto dichiarato il 18 dicembree scorso al quotidiano «Il Messaggero» (cronaca di Ascoli Piceno), dall’avvocato Maria Antonietta Cataldi, che ha assistito una donna con grave disabilità nella sua azione legale contro il Comune di Ascoli.
In sostanza, qualche settimana fa il Tribunale Civile della città marchigiana ha condannato il Comune della stessa a risarcire con 20.000 euro quella donna con grave disabilità, per discriminazione ai sensi della Legge 67/06 (Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni), in quanto per otto anni (dal 2002 al 2010) non le era stata riconosciuta una prestazione di assistenza domiciliare indiretta.
Nel dettaglio della vicenda, era accaduto che i Servizi Sociali, avvalendosi di un’assai discutibile Delibera Comunale che riconosceva l’assistenza solo se svolta da estranei alla famiglia, l’avevano appunto negata alla persona, fino a quando, dopo il 2010, se n’era fatta carico la Regione Marche, con una partecipazione alla spesa del 25% da parte del Comune ascolano.
«Nonostante fosse stato sollecitato più volte – ha dichiarato ancora l’avvocato Cataldi al “Messaggero” -, anche attraverso le vie legali, il Comune non ha mai cercato di trovare un “accomodamentoe ragionevole”, quello di cui parla la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, per fornire assistenza a questa signora gravemente invalida. La conseguenza di tutto ciò è stata che il marito ha dovuto lasciare il lavoro in quegli anni per assistere la moglie; il progetto regionale è stato poi riconosciuto proprio in virtù del fatto che lui stesso assiste la moglie».
Nel corso del processo, va detto, il Comune di Ascoli si è difeso, sostenendo che non ci fossero risorse economiche, motivazione, tuttavia, che non è stata ritenuta valida dal giudice Mariangela Faina, donde la condanna dell’Ente Locale al risarcimento di cui si è detto.
Si tratta di un provvedimento certamente rilevante, che andando oltre lo stesso caso specifico, fornisce un’ulteriore testimonianza di quanti siano gli àmbiti in cui applicare positivamente una norma antidiscriminatoria come la Legge 67/06, ciò che si auspica accada sempre più spesso. (Stefano Borgato)
Ringraziamo per la segnalazione l’Ufficio Legale della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità), cui rimandiamo i Lettori (legale@ledha.it) per eventuali, ulteriori approfondimenti.