BARI. Questa è la storia di una ricerca barese, fatta con i soldi di una fondazione francese, che si è guadagnata le pagine di un’importante rivista scientifica americana. Ma è anche la storia di una ricercatrice barese che per amore materno nei confronti di suo figlio affetto da sindrome di Down ha creduto doppiamente nel suo lavoro e ha studiato con i suoi colleghi un modo per ridurre le sofferenze dei malati di Ds, come si chiama lamalattia in ambito scientifico. In fondo questa storia riunisce tutte le vicende dei ricercatori italiani, alle prese con pochi soldi e molti problemi. Ne sa qualcosa Rosa Anna Vacca, ricercatrice di biomembrane e di bioenergetica del Cnr di Bari. È qui che la ricercatrice e altri tre colleghi hanno fatto una scoperta sensazionale: l’epigallocatechina 3-gallato, non lo conoscono in molti, ma è una molecola di origine naturale, estratta dal tè verde.
I ricercatori baresi hanno scoperto che questa molecola è in grado di rallentare l’invecchiamento precoce, tipico dei pazienti affetti da sindrome di Down. Sono trascorsi più di 50 anni dall’individuazione della causa genetica della sindrome, ovvero la presenza di una terza copia del cromosoma 21, ma sono ancora poco chiari i meccanismi mediante i quali questa alterazione genetica produce il quadro clinico della malattia, tra cui proprio l’invecchiamento precoce. Di certo, nei pazienti aumenta lo stress ossidativo ed è fortemente compromessa la funzionalità mitocondriale, che determinano il deficit cognitivo tipico della sindrome.
Qui si inserisce la ricerca barese: «Abbiamo notato che questa ha un’efficacia notevolissima e interagisce su diverse vie di segnalazione della cellula – dice Rosa Vacca, nata a Canosa ma residente da 20 anni a Bisceglie – e abbiamo anche notato un ripristino totale nella capacità bioenergetica dei mitocondri ». Tutto ciò presuppone grandi possibilità terapeutiche. La molecola non è commercializzata: «Prima dell’utilizzo è necessario uno studio clinico. Sappiamo già che diverse istituzioni stanno pensando di lavorarci per la sperimentazione sull’uomo. Nel frattempo – dice ancora Vacca – rispondo alle molte lettere di genitori di pazienti con sindrome di Down, che mi chiedono se possono utilizzare il tè verde. Ho spiegato a tutti loro che la scienza ha i suoi tempi, ma posso capire benissimo la loro fretta».
I risultati della ricerca, realizzata dal Cnr di Bari in collaborazione con i dipartimenti di scienze dell’università di Bari, Pisa e della Federico II di Napoli, sono già stati pubblicati sulla rivista specializzata “Biochimica et Biophysica Acta-Molecular Basis of Disease”. Tutto questo però non basta a risolvere i problemi. Questa ricerca è stata realizzata grazie ai soldi giunti dalla fondazione francese “Jerome Lejeune”, oltre che da una parte di finanziamenti governativi.
di Antonello Cassano
Fonte: La Repubblica.it
25/03/2013