«Sono ignorante di teorie economiche – scrive Ida Sala di ENIL Italia (European Network on Independent Living), nella sua lettera aperta a Elsa Fornero, ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali – ma cosa c’è di più economicamente reale, vitale e paritario di una relazione come quella in cui io, donna o uomo con disabilità, retribuisco qualcuna/o di mia scelta perché, attraverso il suo lavoro, condizione necessaria per la vita di ognuno, assicuri la mia libertà di autodeterminare le mie scelte di vita, condizione necessaria per la mia dignità e integrità fisica e mentale?». Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo
Gentile Ministra Elsa Fornero, mi rivolgo a lei da donna a donna, sapendo che le sta a cuore la valorizzazione di ognuna di noi.
Vivo una vita normale, quella che ho voluto; cerco di seguire una mia linea di condotta, curo la mia persona, leggo, mi tengo informata. Non sono sposata, non ho figli; a 57 anni ho collezionato la mia dose di "insuccessi" sentimentali, ma continuo a tessere il mio mondo di relazioni e affetti, con il solo dispiacere di non potere stare più vicina a mia madre, soprattutto ora che ne avrebbe bisogno, per una questione di chilometri e di organizzazione.
Conduco normali rapporti di vicinato; mi occupo della mia casa, cerco di limitare consumi e rifiuti, faccio una buona raccolta differenziata, sebbene il mio Comune dimostri scarso interesse in materia. Compro al discount, vesto con l’usato. Ho tagliato, per risparmiare, su cinema, ristorante, bar, gite e vacanze. Pago i tributi, chiedo sempre (quasi) lo scontrino fiscale.
Pratico da anni una vita associativa ormai indispensabile (ENIL Italia* è il nome dell’associazione a cui aderisco), partecipo un po’ alla politica locale e svolgo qualche ora di volontariato (un brutto termine per dire che condivido un po’ del mio italiano con degli amici immigrati).
Ho un diploma di Istituto Magistrale. Dei miei vani tentativi di lavorare preferisco tacere perché occorrerebbe un capitolo apposito.
È evidente che non sono in cerca di elogi, vorrei soltanto mostrarle alcune delle banali, ma necessarie azioni che mi posso permettere solo perché posso contare su una precondizione fondamentale: avere alle mie dipendenze tre assistenti personali (una convivente e due che si alternano nei fine settimana), che ogni giorno mi alzano, mi coricano, mi preparano per uscire, mi accompagnano e mi assistono, anche di notte, ovunque io sia, in base alle necessità da me espresse e secondo le procedure che ho loro insegnato.
Sono infatti affetta da una malattia degenerativa che mi ha reso pressoché inutilizzabili gambe e braccia, ha compromesso i muscoli del tronco, del collo e della respirazione e, più di recente, avverto un po’ di difficoltà nella masticazione e nella deglutizione. Fa più impressione dirlo che sperimentarlo, ma non sto cercando di impressionarla, cerco piuttosto di aiutarla a capire che con gli aiuti giusti una donna come me può vivere una vita dignitosa, piacevole, stimolante, nonostante la disabilità, o meglio, a partire da essa.
L’impianto di assistenza personale autogestita cui ho accennato è finalizzato, tecnicamente parlando, alla realizzazione del mio progetto di Vita Indipendente (in base alla Legge 162/98). È costato alla collettività nel 2011 più di 34.000 euro, anche se non dovrei rendere pubbliche queste cifre, per non scatenare nel Comasco inutili guerre fratricide.
È un importo che comprende gli stipendi, i contributi previdenziali, le ferie, le malattie, le tredicesime, l’anzianità e i trattamenti di fine rapporto delle assistenti personali. Sono escluse le spese di vitto e alloggio che ho tratto dai 767 euro mensili di pensione e assegno d’accompagnamento, con cui devo provvedere al pagamento delle bollette e al mio mantenimento.
Sfido ogni Regione a pubblicare i costi diretti e indiretti che gli istituti, le residenze sociosanitarie e altre tipologie di intervento impiegano, e richiedono ai contribuente, per riprodurre se stesse, non importa se a prezzo della nostra segregazione.
Pur trattandosi di una cifra significativa – quella che mi viene assegnata – posso assicurarle che si tratta di un costo fin troppo contenuto, un po’ perché sono costretta ad applicare i contratti al minimo contrattuale e un po’ perché non basta a soddisfare tutto il mio fabbisogno assistenziale, a un terzo del quale ho rimediato in parte con l’aiuto di amiche e amici (un aiuto che dura da decenni, ma quando potranno riprendersi la loro libertà?) e in parte non rimediandoci affatto (a mio rischio e pericolo).
Il fatto è che la disabilità costa molto alle donne e agli uomini con disabilità e anche alle loro famiglie perché essi devono farsi carico di costi che non sono necessari a chi disabile non è.
Per questo sgomenta che nel cosiddetto "Decreto Salva-Italia", l’attuale Governo abbia pensato di introdurre, nel calcolo dell’ISEE la disabilità come produttrice di reddito [l’ISEE è l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente. Il riferimento è alle possibili opzioni indicate dall’articolo 5 della Legge 214/11, N.d.R.]. A una simile assurdità faccio osservare che la disabilità è uno svantaggio di cui faremmo tutte e tutti volentieri a meno e che i contributi per la Vita Indipendente, così come l’indennità di accompagnamento, è necessario che siano sempre riconosciuti al solo titolo della minorazione grave.
Di essi, come di altre garanzie, abbiamo estrema necessità, come dell’aria e dell’acqua, per vivere. E, contemporaneamente, per vivere in condizioni di uguaglianza con gli altri, Cittadine e Cittadini senza disabilità.
Se approverete questo criterio di calcolo del reddito, persone come me, paradossalmente, risulterebbero "ricche" e, per questo motivo, destinate a subire ulteriori riduzioni di quei benefìci necessari a far fronte alla disabilità o addirittura ad esserne escluse.
Alla gran parte del costo della mia assistenza personale autogestita hanno provveduto il Distretto e il Comune, e per un sesto la Regione, ma il 2012 si è già presentato con premesse di limitazioni e incertezze, dovute ai tagli riservati al Fondo Nazionale per le Politiche Sociali.
Ecco un’altra ingiustizia, mi perdoni, che sommata alla precedente contribuisce a sottrarci l’insieme dei nostri diritti inviolabili, cioè la vita stessa.
Ci sono istituzioni, associazioni, cooperative o persone – e sono purtroppo le più ascoltate – che "campano sulla disabilità", vendendo loro "aria fritta" (corsi, consulenze, progetti di vita mortificanti) o che pensano di risolvere i problemi delle donne e degli uomini con disabilità privandoli del diritto di scelta e propinando loro soluzioni assistenziali preconfezionate, come, appunto, le strutture residenziali, oppure con servizi a domicilio striminziti, gravosi, avvilenti.
Ci vuole lungimiranza o forse basta un po’ di buon senso per rendersi conto che è più vantaggioso, sia in termini di diritti sia dal punto di vista dell’economia reale, investire nei progetti di Vita Indipendente delle persone con disabilità, nella loro intraprendenza, nella loro voglia di vivere, dando sostanza a quelli che la nostra Costituzione considera diritti inviolabili garantiti.
Forse come donna si sentirà colpita quanto me dalla storia di R., madre di due bambini, che alla sua pressante richiesta di un finanziamento per l’assunzione di assistenti personali, si è sentita raccomandare dall’assistente sociale e dall’avvocatura del suo Comune della Campania meridionale, di «non insistere ulteriormente, per il suo bene», altrimenti «le autorità potrebbero provvedere d’ufficio all’affido dei minori in istituto o ad altra famiglia»! O dalla storia di E., che a 31 anni suonati non può andare a vivere con il suo compagno, non con il suo misero stipendio o con quello di lui, perchè il suo Comune dice di non avere soldi e comunque non ha previsto di spenderli per questo tipo di intervento.
E poi, sempre per rimanere con uno sguardo su un altro versante femminile, vorrei mostrare a lei – che prima che politico e studioso è donna – come investire sull’indipendenza delle donne (e degli uomini) con disabilità può essere un’ottima impresa per la collettività. Le mie assistenti assicurano un’entrata alle loro famiglie, certo scarsa, ma provo ancora soddisfazione quando ricordo che l’anno scorso, grazie alla sua intraprendenza e alla disponibilità della collega che le ha ceduto parte delle ore, una di loro ha potuto traghettare dignitosamente la sua famiglia fuori dalla condizione disperata in cui era caduta dopo il licenziamento del marito. Ovviamente mantenendo io il controllo della mia organizzazione!
Sono ignorante di teorie economiche, ma cosa c’è di più economicamente reale, vitale e paritario di una relazione come quella in cui io, donna o uomo con disabilità, retribuisco qualcuna/o di mia scelta perché, attraverso il suo lavoro, condizione necessaria per la vita di ognuno, mi assicuri la libertà di autodeterminare le mie scelte di vita, condizione necessaria per la mia dignità e integrità fisica e mentale?
Pensi anche a quante madri e mogli e compagne e sorelle, sgravate dal dover accudire i loro cari con disabilità e da ogni senso di colpa, potrebbero aprirsi a nuovi orizzonti professionali, creativi, culturali, relazionali!
Spero di aver saputo narrarle fin qui quello che con parole più colte l’amico sociologo Claudio Roberti, vicepresidente di ENIL Italia, esprime così: «Il nostro welfare sfonda i significati e le funzioni della semplice assistenza, entrando nei diritti antropologici vitali».
Completo quanto ho da dire con questo appello sempre di Claudio Roberti: «La vulgata politica imposta in questi anni vuole dipingerci a tutti i costi come dei "falsi invalidi" oppure, in ogni caso, come un inutile peso di cui liberarsi in qualche modo. Evidentemente, le cose non stanno in questi termini e tanti indicatori lo dimostrano. Signor Ministro, lei è una studiosa di profilo accademico, pertanto le chiediamo che il necessario cambiamento attinente alla nostra condizione antropologico sociale fondi su fatti scientifici e non su stereotipi radicati in false opinioni vertenti a soluzioni manichee dannose a noi e al sistema Paese. Ad esempio, il recente studio-documento preparato da ENIL Italia in materia di modello ISEE ([lo si legga nel nostro sito cliccando qui, N.d.R.], dimostra che una moltitudine di persone disabili italiane sono da tempo nelle condizioni di elaborare strumenti analitici meritevoli di attenzione e risposte adeguate».
Non manchi, la prego, di accordarci la sua presenza e accoglienza durante gli appuntamenti dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, Gruppo 3, che si svolgono al Ministero, in via Fornovo, cui ENIL Italia partecipa insieme alla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap): le sarà di grande aiuto!
Infine, personalmente le chiedo lo sforzo di andare a incontrare le persone con disabilità che presto** saranno in Piazza Montecitorio: non hanno santi in paradiso, ma un sacco di ragioni da vendere!
di Ida Sala (ENIL Italia (European Network of Independent Living)).
**Una manifestazione di protesta era infatti prevista per l’8 febbraio, ma è stata rinviata a data da destinarsi, a causa delle proibitive condizioni meteorologiche.
Fonte: Superando.it
07/02/2012