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Parla Siama Abraham Musine, promotrice della salute per Medici senza frontiere nelle comunità in Kenya: "Mi ricordo quando il medico mi disse di prepararmi a morire. Uno degli scopi del mio lavoro è incoraggiare le persone"

ROMA – "Uno degli scopi del mio lavoro è incoraggiare le persone che risultano positive al test a sforzarsi a convivere con l’Hiv. Perché mi ricordo quando scoprii di essere sieropositiva e il medico mi disse di prepararmi a morire". Lo ha raccontato Siama Abraham Musine, promotrice della salute per Medici senza frontiere nelle comunità in Kenya, intervenendo ieri alla Sala stampa estera in vista della Conferenza internazionale sull’Aids, al via nella capitale dal 17 al 20 luglio, che riunisce a scadenza biennale la comunità scientifica internazionale e i professionisti esperti di Hiv/Aids.

Siama ha testimoniato di convivere quotidianamente con la sieropositività, rischiando di non poter continuare la terapia se i finanziamenti per le cure dovessero diminuire o addirittura interrompersi. Ha 36 anni ed è la quinta di sette tra fratelli e sorelle. "Vivo con mia madre perché mio padre è morto nel 2001; ho un figlio di vent’anni che ho cresciuto da sola – ha riferito -. Sono andata a scuola fino all’età di 18 anni e ho il diploma di scuola superiore. A 21 anni ho frequentato all’università un corso di estetica e acconciature di due anni". La donna ha scoperto di essere sieropositiva appena ventenne: "Da allora ho iniziato a frequentare corsi sull’Hiv/Aids, che mi hanno dato il coraggio di iniziare a parlare della malattia, condividere la mia esperienza con gli altri e insegnare a mia volta come convivere positivamente con l’Hiv".

Oggi Siama lavora per Msf nel dipartimento di promozione della salute e sensibilizzazione, all’interno del Centro sanitario meridionale di Kibera: "Mi occupo di coordinare piccoli gruppi di donne che vivono con l’Hiv. Nei gruppi discutiamo soprattutto di come prevenire la trasmissione materno-infantile del virus e condividiamo le sfide quotidiane del vivere con la sieropositività: una pratica che aiuta sempre più madri ad avere vita più positiva". Inoltre organizza anche "delle campagne di sensibilizzazione tematiche all’interno delle cliniche, con l’obiettivo di promuovere un cambiamento positivo nell’intera comunità, ponendo l’accento in particolare sulla prevenzione di nuove infezioni e la promozione dell’accesso universale alle cure".

L’esperienza decennale di Msf nel campo dell’Hiv/Aids ha consentito di elaborare efficaci strategie per espandere l’accesso alle cure, portandole anche là dove non si credeva possibile – come nei villaggi, dove non c’è personale sanitario altamente qualificato né ospedali -, rendendole semplici e gestibili da tutti e affidando alla comunità un ruolo chiave nel sostegno alle persone in trattamento. Nel mondo le persone che vivono con l’Hiv si stimano essere circa 34 milioni, 22 dei quali in Africa. "Nei paesi in via di sviluppo, chi ha la fortuna di avere accesso alle terapia è ancora costretto a prendere farmaci altamente tossici, da assumere più volte al giorno, meno efficaci dei farmaci di ultima generazione, che ormai da anni in Europa hanno sostituito i vecchi – osserva Msf -. Chi viene messo in terapia in Africa ha meno chances di farcela, perché i criteri che si applicano nei paesi poveri per decidere quando cominciare la terapia prevedono ancora di aspettare una fase più avanzata della malattia, quando purtroppo l’efficacia dei farmaci sulla dinamica del virus è meno importante e il rischio di sviluppare malattie opportunistiche alto". Mentre "prima si comincia la terapia antiretrovirale – una volta che si sa di essere infetti – e meglio è per tutti. Per se stessi, prima di tutto, ma anche per la comunità, in quanto si ha meno possibilità di trasmettere il virus a qualcun’ altro (la carica virale si riduce e di conseguenza la contagiosità), migliora l’aspettativa di vita dei propri figli e di conseguenza l’impatto positivo si estende su tutta la società". (lab)

Fonte: Superabile.it

20/07/2011