Quello che ricercatori e medici non hanno forse fino ad ora tenuto nella dovuta considerazione è la possibilità di avvalersi di un consulto da parte di una speciale categoria di esperti: i genitori dei bambini.
Le manifestazioni cliniche del disturbo autistico si osservano entro i 3 anni di età, talvolta già a partire dal primo anno di vita, con un’alterazione a livello delle abilità socio-relazionali, della comunicazione e del comportamento. Nello specifico si osserva una generale indifferenza rispetto al contesto relazionale, una marcata difficoltà nel comprendere emozioni e punti di vista altrui e una scarsa iniziativa nei rapporti diretti, anche con i coetanei. I comportamenti emotivo-affettivi nei confronti degli stessi genitori sono tendenzialmente scarsi, per i quali viene sviluppato un attaccamento spesso instabile e frammentario, specie nei primissimi anni di vita.
Le alterazioni delle competenze comunicative si manifestano attraverso la presenza di disturbi molto diversificati tra loro per tipologia e gravità, accumunati quasi sempre da una generale mancanza di intenzionalità comunicativa. Anche il comportamento si mostra alterato, con la presenza di ripetitività, stereotipie, autolesionismo, attività ritualistiche, interessi ristretti, rigidità nelle abitudini, ansia e agitazione. La diagnosi di autismo è prettamente clinica, coadiuvata dall’utilizzo di specifiche scale di valutazione che consentono una valutazione delle tre aree disfunzionali descritte.
Poiché la tempestività della diagnosi è generalmente associata ad una migliore prognosi, la ricerca sull’autismo si è sempre più concentrata sull’identificazione dei sintomi precoci del disturbo, presenti sin dal primo anno di vita del bambino. Quello che ricercatori e medici non hanno forse fino ad ora tenuto nella dovuta considerazione, tuttavia, è la possibilità di avvalersi di un consulto da parte di una speciale categoria di esperti: i genitori dei bambini. Questo è ciò che emerge da uno studio canadese pubblicato lo scorso marzo sul Journal of the American Academy of Child & Adolescent Psychiatry, condotto da Lori-Ann Sacrey e Vickie Armstrong, entrambe collaboratrici dell’Autism Research Centre del Glenrose Rehabilitation Hospital.
In questo studio, che ha coinvolto circa 300 famiglie, sono state raccolte le preoccupazioni espresse dai genitori rispetto allo sviluppo dei figli durante i primi due anni di vita, ed è stata indagata la loro relazione rispetto alla presenza o meno della formalizzazione di una diagnosi di autismo a 3 anni di età. Tali preoccupazioni potevano riguardare vari ambiti, come sonno, dieta, comportamento sensoriale e motorio, comunicazione, abilità sociali e gioco. Sono stati reclutati sia genitori di bambini considerati ad alto rischio di sviluppare autismo (perché aventi un fratello più grande con tale disturbo), sia genitori di bambini a basso di rischio.
I risultati dello studio hanno dimostrato che i genitori di bambini ad alto rischio di autismo, per i quali è poi stata effettivamente formalizzata la diagnosi, presentano già a 12 mesi maggiori preoccupazioni sia rispetto ai genitori di bambini a basso rischio, sia rispetto a genitori di bambini ad alto rischio che però non sviluppano il disturbo. Le preoccupazioni riguardanti il comportamento sensoriale e lo sviluppo motorio si sono mostrati predittori efficaci addirittura a soli 6 mesi di età.
Questo studio mette in luce quanto possa essere importante ascoltare i genitori e prendere in più che seria considerazione le loro preoccupazioni: quando si parla di figli, forse i maggiori esperti sono davvero loro.
Fonte: Stateofmind.it
07/05/2015