8 marzo. Venti donne raccontano la loro vita e le battaglie per l’integrazione, la comprensione, il riconoscimento dei diritti. Rabbia, esasperazione, sdegno verso chi giudica: ma anche una forte determinazione a "vincere questa bestia".
ROMA. Patrizia è tornata tra i banchi di scuola, accanto a suo figlio, per assicurargli la possibilità di stare in classe insieme ai suoi compagni; Vanessa ha combattuto una lotta quotidiana, per ottenere che Christian non sia più isolato nella “stanza del silenzio”; Sondra ha imparato ad accettare quella “mancanza di desideri” di Mattia, che le ha fatto odiare il Natale e tutte le feste; Maria ha combattuto il senso di potenza, aprendo una struttura capace di accogliere ragazzi autistici come i sui due figli: la quotidiana lotta al fianco dell’autismo ha spesso un volto femminile, perché in tanto casi è la mamma in prima linea, a volte solo lei resiste alla frustrazione, alla tristezza, alla fatica che la ricerca continua dell’integrazione e la difesa dei diritti a volte impongono.
Ed è alle voci di una ventina di queste donne, che raccontano in poche righe qualche frammento della loro esistenza, che vogliamo affidare il compito di “celebrare” la festa della donna: perché non sia solo una ricorrenza, ma un riconoscimento del lavoro che tante donne oggi svolgono, non tra i macchinari di una fabbrica, ma tra le mura domestiche, rivendicando diritti non tanto per loro, ma per coloro a cui hanno scelto di dedicare tutte le proprie forze: i loro figli con autismo.
“A 19 anni ero una madre single, lavoravo e adoravo la mia bambina – racconta Patrizia – Poi ho conosciuto mio marito ed è nato Matteo: fin da subito abbiamo capito che non era un bambino come gli altri. Piangeva se lo tenevamo in braccio, era in ritardo su tutte le tappe evolutive della crescita. E poi non parlava. La prima parola l’ha detta a cinque anni, il pannolino l’ha tolto a 8. E soprattutto ci picchiava, Matteo, sfogava la sua rabbia e la sua angoscia in questo modo. Era entrato l’autismo nella mia vita. Allora ho perso tutto. Ho perso il mio lavoro, che con tanta fatica mi ero conquistata, perché Matteo non riusciva a frequentare la scuola a tempo pieno. Ho perso gli amici, che sempre più raramente ci chiamavano per vederci. Ho perso mia figlia, che a 16 anni ha preferito andare a vivere con il padre, lasciando la nostra casa in cui regnava solo la disperazione e la comunicazione erano le botte di Matteo. Ho perso la voglia di vivere, quindi sopravvivo. Ogni mattina mi sveglio e so che anche questa giornata sarà da vivere ed organizzare in base a come sta Matteo e sarà un lungo trascinarsi fino a sera cercando di assecondarlo in ogni modo per evitare le sue crisi. Ma so anche che questa giornata la vivrò accanto ad un meraviglioso bambino che amo e che mi ama incondizionatamente. E allora vado avanti”.
“Per molto tempo ho odiato il Natale – racconta Sondra – Odiavo quei lunghi pranzi con i parenti in cui Mattia risultava sempre inadeguato e spesso finiva col rompere qualcosa interrompendo un clima che doveva essere (come da tradizione) idilliaco”,. “Odiavo le recite natalizie in cui gli altri bambini riuscivano, nella loro inconsapevole gioia e bravura, a farmi notare la diversità di mio figlio. Odiavo i giorni spesi nel cercare regali per Mattia, che poi venivano regolarmente abbandonati in un angolo. Ma non abbandonati alla maniera con cui tutti i bambini lo fanno, dopo averli avidamente scartati, manipolati, usati ininterrottamente per qualche ora, o qualche giorno, no. Abbandonati da subito, non presi assolutamente in considerazione, non scartati, non provati, non desiderati. Mattia fin da bambino aveva questa caratteristica: non desiderava niente, non provava piacere, non era attratto dalle novità, non voleva mai mettersi alla prova. Mattia, invece, adorava tenere in mano i ‘fili’: cordoni delle tende, lacci da scarpe, cinture delle automobili, solo questo faceva dalla mattina alla sera, incessantemente. E anche questo, per noi, è l’autismo”.
Maria ha due figli autistici e “cominciai la mia via crucis 33 anni fa – racconta – All’epoca sul territorio nebroideo, in Sicilia, non c’erano servizi in grado di supportare la terapia per i soggetti autistici. Così, ho fatto la spola tra il sud e il nord dell’Italia per oltre 20 anni. Poi, ho lottato per creare una struttura ricettiva per soggetti autistici specializzata e completa, per far sì che altri non vivano il senso di impotenza che ho provato io. Oggi, rispetto ad allora, esistono centri ambulatoriali che permettono il trattamento, ma che non riescono lo stesso a rispondere alle tante necessità quotidiane di queste persone, che possono avere una vita discretamente soddisfacente, purché vengano aiutati a superare le difficoltà negli atti di vita quotidiani. E così, ho contribuito alla nascita del centro diurno Navacita, a Naso (Me), che oggi accoglie venti persone con autismo”.
Veronica è da poco, poco più di un anno, che lotta “contro questo mostro che è l’autismo. Ogni giorno, ogni mattina è un passo lungo questa strada tortuosa, difficile, solitaria. Non c’è un traguardo alla fine di questa strada. Non c’è un arrivo, non c’è una luce in fondo al tunnel. E’ una strada, quella della vita, e va percorsa e basta. Chi è più superficiale giudica, giudica le scelte, giudica il modo di educare; ‘troppo buona, inadeguata, così non raggiungerà le sue autonomie, è tutto sbagliato’. Raccogliamo le forze, mentre le lacrime scendono da sole. Ma no, non c’è tempo per piangere, c’è un’altra battaglia dietro l’angolo, il sole sorge ogni giorno. Vieni qui amore, dammi la mano, mamma è sempre con te. Noi sappiamo che sei speciale, gli altri non possono capire. Sei il mio dono sceso dal cielo, sei nato perché la mamma aveva troppo amore da dare e tu nel modo come sei fatto, l’unico a poterlo meritare”.
“Dodici anni sono pochi, ma sono stati vissuti così intensamente che mi sembrano una vita intera – ricorda Paola, rivolgendosi in una lettera a suo figlio Federico – Ogni pensiero era rivolto a capire questo tuo modo di essere, che apparentemente ti rendeva lontano da me: ricordo le corse per le vie della città, i morsi, lo sguardo che passa oltre. Poi sono entrati nella tua e nella mia vita i mattoni che ti hanno aiutato ad avvicinarti a me e a questo mondo così complicato e confuso: Debora, Mirka, Morena, Cristina, Enrico, Cesi, Valentina, Laura, Mario, Maria, Giovanni e con loro Aba, logopedia, musica. Hanno costruito te e cambiato e reso più ricca me. Un cammino di 10 anni non ancora giunto a termine, fatto di costanza, riflessione, rispetto, coerenza, tanta coerenza tra il dire, il fare e l’essere”.
Vanessa ha denunciato, pochi giorni fa, l’isolamento di suo figlio a scuola, relegato nella “stanza del silenzio”. Eppure, come mamma di un bambino autistico, vivo questa storia in maniera serena – raccoonta – Sento di avere fatto tutto quello che avrei fatto se non avessi avuto l’autismo in casa. Voglio che Christian non percepisca il mio disagio, sentendosene responsabile Mi pare di vivere un po’ come dentro il film ‘La vita è bella’. L’unica cosa che veramente mi angoscia è che un domani non ci sarò più io: chi gli correrà dietro, quando io non potrò più farlo?”.
Maria Carla racconta la sua vita in poche scene, quasi istantanee di un fine settimana come tanti: “Viaggiamo in macchina e la musica la sceglie lui. Meglio non protestare. Già va bene se non comincia con nuove richieste! Oggi si sporca le mutandine per la seconda volta: lo lavo, facendomi promettere che starà più attento. Preparo cena senza glutine-mais-soia-caseina per lui, dopo non ho voglia di rimettermi ai fornelli per me, pane e formaggio va benissimo! Lui però si mette a urlare, perché ha visto qualcuno che si abbraccia alla televisione, mi si avventa contro più volte, riesce a mordermi la mano. A quel punto mi arrabbio, lo stramaledico e taglio i fili dell’antenna, ‘Da oggi niente TV!’. La sera non riesce a dormire. ‘Stai male? Devi vomitare?,gli chiedo. Risposta: ‘Boh, non lo so’, ma non riesce a vomitare. All’1.30 si addormenta a pancia su, appoggiato a tre cuscini. Finalmente! Non si può vederlo star male! Domenica mattina: ‘Andiamo a prendere un gelato alla Cremeria Alpi, ma prima fai la doccia!’, dico. Corre subito a lavarsi, si veste, tutto da solo, un lampo! ‘Allora lo sai fare!’. Torniamo dal corso di teatro, ore 20.15, via del Mare a passo d’uomo, 20 Km. in 90 minuti. E lui: ‘Mercatino! Subito mercatino!’. Ce la farò?”.
Fonte: Redattore Sociale.it
10/03/2015