«Ciao a tutti, mi chiamo Sara e sono la mamma di un dolcissimo bambino di un anno e mezzo di nome Luca a cui è stato da poco riconosciuto l’handicap grave. Scrivo queste righe per raccontare la nostra esperienza e nello specifico quello che accade quando il mondo ti precipita addosso nel momento in cui, da un giorno all’altro, al tuo bimbo viene diagnosticata una grave malattia».
I nomi sono di fantasia, ma la storia, iniziata sei mesi fa, è drammaticamente vera. E riguarda, nella sua banale normalità, tutti noi. Il racconto è in prima persona, perché in prima persona accadono le cose. Scrive Sara: «Oltre a dover affrontare la parte medica (che qui tralascio) bisogna fare i conti con gli aspetti pratici, come il lavoro. Fino a ieri lavoravo, ora devo rimanere in ospedale con il mio bimbo. Esistono assegni o fondi per sostenere le famiglie? Questo me lo sono chiesta molto tempo dopo l’accaduto, prima pensavo ad altro. Esistono detrazioni per figli con handicap? Questo l’ho letto sul quotidiano casualmente una mattina al bar. Posso chiedere il contrassegno per l’automobile?». Domande. Domande che nessuno si pone prima che non sia la vita a porle. «Insomma, il problema secondo me – spiega Sara – è l’assenza di un supporto efficace e integrato. Non esiste un referente unico che in queste situazioni dica: “bene, le cose da fare sono queste”. Un genitore si ritrova a girare come un pazzo da un ufficio all’altro, a cercare le informazioni su internet e a passare ore e ore al telefono».
Un vero calvario iniziato nell’agosto 2012 e non ancora terminato. «Ci siamo imbattuti nei Patronati, nei servizi sociali, nel Comune, nell’Azienda sanitaria, nell’ospedale, nell’Inps, nelle associazioni» elenca Sara. «Dopo un mese passato in ospedale vicino a Luca, mi rendo conto che devo muovermi e capire cosa fare per il lavoro, per qualche sussidio, ma non so da dove iniziare e soprattutto a chi rivolgermi. È proprio qui che dovrebbe entrare in gioco il ruolo di qualche assistente sociale. Io l’ho appreso casualmente. Perché non attaccano nel reparto qualche locandina del tipo: “Esiste un’assistente sociale, è presente dalle 9 alle 15”».
Il risultato? «Ho perso un mese di tempo» dice la mamma di Luca. Ma è solo l’inizio. «Passando alla parte burocratica: la prima cosa è farsi rilasciare dal proprio pediatra il certificato medico che attesti la patologia (non è sufficiente quello dell’ospedale, ovviamente). Il nostro pediatra (siamo nel 2012) non ha il personal computer e la sostituta è in ferie. Per cui troviamo un pediatra che non conosce il bimbo ma a titolo di favore ci emette questo certificato. Poi si va da un Patronato che inserisce una domanda telematica all’Inps per richiedere la visita medica al fine dell’ottenimento dell’handicap e dell’invalidità civile». Ma non è finita. «Fin qui va bene, ma io come giustifico la mia assenza dal lavoro? – si chiede Sara -. Le ferie le ho già prese tutte. E allora parlando con i Patronati e chiamando l’Inps si vocifera che posso presumere che venga riconosciuto l’handicap grave e quindi possa beneficiare della Legge 104 e del famoso congedo straordinario retribuito di due anni. Ma non c’è scritto da nessuna parte, per cui devi presumere bene e avere fortuna che ti venga riconosciuto». Insomma, dopo un tempo abbastanza breve (due settimane) la Commissione medica accerta l’handicap e l’invalidità. «Anche qui, un appello all’Inps – aggiunge Sara -: perché non redigono dei verbali un po’ più chiari, invece di inserire due pagine con delle tabelle incomprensibili?». Già, perché?
Non mancano sono le contraddizioni. La burocrazia non segue una logica. «Riconoscono l’indennità di frequenza ma dal momento in cui il bimbo non può frequentare il nido l’assegno non viene percepito – continua la mamma di Luca -. Cerco su internet e trovo che se si frequentano ospedali per trattamenti terapeutici periodici l’assegno viene dato. Così mandiamo avanti la domanda tramite il Patronato, attendiamo un mese per sentirci dire che una caratteristica fondamentale è la frequenza settimanale agli istituti. Per cui niente assegno in quanto la nostra frequenza è di tre volte al mese circa. Il Patronato ovviamente non sapeva, ma neanche l’Inps risponde». Una guerra di nervi. «Conoscete l’efficiente servizio telematico offerto dall’Inps? – domanda retorica di Sara -. Ecco, loro non avevano specificato la cadenza settimanale».
La morale? «Quello che ho notato è molta approssimazione» dice Sara. La soluzione? «Il fantomatico referente che secondo me si dovrebbe creare – spiega la mamma di Luca – dovrebbe essere una sorta di filo diretto con Inps, Regione, Azienda sanitaria. Avete mai provato a chiamare l’Inps? È impossibile parlare al telefono e se vai di persona siamo ai compartimenti stagni: c’è chi si occupa solo di maternità e quindi sa poco niente della legge 104; c’è chi si occupa di legge 104 e non sa nulla di invalidità civile. E così via». Una specie di gioco dell’oca. Si torna sempre al punto di partenza.
La ciliegina finale riguarda il contrassegno per l’automobile. Un vero paradosso. Racconta Sara: «I vigili, a cui chiedo informazioni, mi dicono che devo prenotare un’altra visita con il medico preposto (attraverso il Cup). Chiamo l’ufficio invalidi per dire che mio figlio aveva fatto la visita un mese prima. Mi sento dire che assolutamente non si può fare e che doveva per forza fare questa seconda visita in ambulatorio. Conclusione: il bimbo dormiva, non è stato visitato ma il medico leggendo la documentazione ci assegna il contrassegno». Finale all’italiana.
Nel Belpaese tutto funziona così. Fotografa Sara: «Le procedure sono lunghe, per niente snelle e logiche, esistono tante figure non integrate tra loro. Probabilmente ci sono molti Paesi al mondo in cui funziona peggio ed altri in cui funziona meglio. Non è l’Italia, non è la Germania, dovrebbe essere il buonsenso e basta a guidare certe situazioni». Il buonsenso, ovvio. Troppo facile.
Fonte: Disablog.it
04/02/2013