Sono quelle che accolgono anziani e disabili. Conseguenze non solo economiche, ma anche sociali, con contenziosi che durano anche 10 anni. Ma in nessun caso può essere interrotto un servizio essenziale. Intervista all’avvocato Massimiliano Gioncada
ROMA – "Qualche decina di milioni di euro. Con la difficoltà di quantificare più in dettaglio". A questo ordine di cifre ammontano attualmente, a livello nazionale, le rette "inevase", cioè non versate a strutture assistenziali per anziani non autosufficienti e disabili. Non versate dai soggetti tenuti al pagamento: aziende sanitarie, utenti e Comuni. Al tema, di tutt’altro che facile soluzione, è dedicato un percorso di formazione per avvocati e assistenti sociali che da mesi gira l’Italia e che il 26 novembre si terrà a Genova, presso NH Marina, Molo Ponte Calvi. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Gioncada, docente del corso, avvocato e formatore accreditato dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali e consulente per diversi enti locali, nonché autore del volume " Diritto dei servizi sociali".
Quali sono i termini della questione?
Le strutture erogano prestazioni e hanno diritto a essere pagate. I soggetti potenzialmente tenuti al pagamento, ognuno per la quota di propria competenza, individuata astrattamente dalla legge, dai regolamenti locali ovvero in relazione al caso concreto, sono le aziende sanitarie, gli utenti, i Comuni. Quando la prestazione non viene retribuita nel modo corretto o non del tutto si ha una grave sofferenza economica, che può portare sino al collasso finanziario.
E’ un problema figlio della crisi economica attuale o è questione più lontana nel tempo?
La crisi economica non agevola. Da un lato la popolazione italiana, almeno quella che fruisce di servizi pubblici come questi, non si è certo arricchita negli ultimi anni. Dall’altro sulla spesa sanitaria e sociale pare che si sia tagliato indiscriminatamente, mentre certe prestazioni hanno a che fare con quei livelli essenziali di assistenza che dovrebbero comunque essere garantiti.
Il sistema non è in crisi da ora, e vien da chiedersi: ma delle disinvolte gestioni degli anni che furono, devono pagarne le spese i cittadini bisognosi di oggi? Qui il problema è culturale, ancor prima che politico e giudiziario. Non è pensabile che un Paese moderno rinvenga nelle decisioni dei giudici, tra l’altro non sempre coerenti tra loro, la soluzione di tutti i mali.
Quali le conseguenze sociali delle rette inevase, o troppo dilatate nel tempo, e quali le conseguenze penali? Quali conseguenze per l’utente?
La struttura tenta di recuperare forzosamente il proprio credito. Questo non significa che l’utente debba maggiormente concorrere alla spesa, non deve certo farsi carico di oneri sanitari o sociali che sono a carico della Pubblica amministrazione, ma certamente l’essere fagocitati nel vortice giudiziario è tutt’altro che piacevole e semplice. Tra le conseguenze sociali, la messa in crisi di un assetto imprenditoriale e i costi sociali derivanti dalla sollecitazione del "sistema giustizia", che non è veloce nel fornire risposte definitive ai cittadini. Penalmente non vi è immediata rilevanza, perché siamo nell’ambito del diritto civile. I giudizi penali in cui sono coinvolte le strutture concernono altro.
Ci sono procedimenti giudiziari in corso?
Ve ne sono molti, ma i problemi legati ai tempi e alle sedi corrette in cui chiedere giustizia sono molteplici e di non facile soluzione.
Quali azioni si mettono in campo per il recupero delle somme? Con quali esiti?
La regolamentazione di alcuni aspetti è demandata alle legislazioni regionali, quindi bisognerebbe procedere a una disamina puntuale di tutte. Talvolta, nemmeno a livello regionale le regole sui rapporti tra Pubblica amministrazione e cittadini sono declinate in modo chiaro. In alcuni casi è stata la giurisprudenza, con la propria attività decisoria e interpretativa, a riempire il vuoto normativo. E molte Regioni applicano in modo "disinvolto" i decreti sui Livelli essenziali di assistenza e, soprattutto, la ripartizione percentuale della spesa là indicata.
Gli esiti dei giudizi?
Il giudice individua il debitore e lo condanna al pagamento, ma vi possono essere situazioni in cui la mancata osservazione delle norme e dei procedimenti sottesi può determinare il fatto che la struttura resti non soddisfatta. Non è raro che i contenziosi durino anni, anche più di dieci!
Può essere dimesso un paziente di fronte all’inadempienza delle rette?
In base alla giurisprudenza prevalente, le dimissioni giustificate da un mancato pagamento della retta sono illegittime, fino alla rilevanza penale. Le strutture erogano un servizio pubblico, in nome e per conto della Pubblica amministrazione che, in forza di un riconoscimento formale, il cosiddetto accreditamento, delega ad esse le prestazioni assistenziali. Non siamo di fronte a strutture alberghiere: le persone sono ricoverate in queste strutture a seguito della compromissione, totale, o comunque elevata, del loro "bene salute". Si tratta, dunque, di un rapporto (contratto) di natura pubblicistica, di fronte al quale le dimissioni per mancato pagamento prefigurano una interruzione di pubblico servizio, se non reati anche più gravi. (ep)
(25 novembre 2013)
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Sono quelle che accolgono anziani e disabili. Conseguenze non solo economiche, ma anche sociali, con contenziosi che durano anche 10 anni. Ma in nessun caso può essere interrotto un servizio essenziale. Intervista all’avvocato Massimiliano Gioncada
ROMA – "Qualche decina di milioni di euro. Con la difficoltà di quantificare più in dettaglio". A questo ordine di cifre ammontano attualmente, a livello nazionale, le rette "inevase", cioè non versate a strutture assistenziali per anziani non autosufficienti e disabili. Non versate dai soggetti tenuti al pagamento: aziende sanitarie, utenti e Comuni. Al tema, di tutt’altro che facile soluzione, è dedicato un percorso di formazione per avvocati e assistenti sociali che da mesi gira l’Italia e che il 26 novembre si terrà a Genova, presso NH Marina, Molo Ponte Calvi. Ne abbiamo parlato con Massimiliano Gioncada, docente del corso, avvocato e formatore accreditato dal Consiglio nazionale dell’Ordine degli assistenti sociali e consulente per diversi enti locali, nonché autore del volume " Diritto dei servizi sociali".
Quali sono i termini della questione?
Le strutture erogano prestazioni e hanno diritto a essere pagate. I soggetti potenzialmente tenuti al pagamento, ognuno per la quota di propria competenza, individuata astrattamente dalla legge, dai regolamenti locali ovvero in relazione al caso concreto, sono le aziende sanitarie, gli utenti, i Comuni. Quando la prestazione non viene retribuita nel modo corretto o non del tutto si ha una grave sofferenza economica, che può portare sino al collasso finanziario.
E’ un problema figlio della crisi economica attuale o è questione più lontana nel tempo?
La crisi economica non agevola. Da un lato la popolazione italiana, almeno quella che fruisce di servizi pubblici come questi, non si è certo arricchita negli ultimi anni. Dall’altro sulla spesa sanitaria e sociale pare che si sia tagliato indiscriminatamente, mentre certe prestazioni hanno a che fare con quei livelli essenziali di assistenza che dovrebbero comunque essere garantiti.
Il sistema non è in crisi da ora, e vien da chiedersi: ma delle disinvolte gestioni degli anni che furono, devono pagarne le spese i cittadini bisognosi di oggi? Qui il problema è culturale, ancor prima che politico e giudiziario. Non è pensabile che un Paese moderno rinvenga nelle decisioni dei giudici, tra l’altro non sempre coerenti tra loro, la soluzione di tutti i mali.
Quali le conseguenze sociali delle rette inevase, o troppo dilatate nel tempo, e quali le conseguenze penali? Quali conseguenze per l’utente?
La struttura tenta di recuperare forzosamente il proprio credito. Questo non significa che l’utente debba maggiormente concorrere alla spesa, non deve certo farsi carico di oneri sanitari o sociali che sono a carico della Pubblica amministrazione, ma certamente l’essere fagocitati nel vortice giudiziario è tutt’altro che piacevole e semplice. Tra le conseguenze sociali, la messa in crisi di un assetto imprenditoriale e i costi sociali derivanti dalla sollecitazione del "sistema giustizia", che non è veloce nel fornire risposte definitive ai cittadini. Penalmente non vi è immediata rilevanza, perché siamo nell’ambito del diritto civile. I giudizi penali in cui sono coinvolte le strutture concernono altro.
Ci sono procedimenti giudiziari in corso?
Ve ne sono molti, ma i problemi legati ai tempi e alle sedi corrette in cui chiedere giustizia sono molteplici e di non facile soluzione.
Quali azioni si mettono in campo per il recupero delle somme? Con quali esiti?
La regolamentazione di alcuni aspetti è demandata alle legislazioni regionali, quindi bisognerebbe procedere a una disamina puntuale di tutte. Talvolta, nemmeno a livello regionale le regole sui rapporti tra Pubblica amministrazione e cittadini sono declinate in modo chiaro. In alcuni casi è stata la giurisprudenza, con la propria attività decisoria e interpretativa, a riempire il vuoto normativo. E molte Regioni applicano in modo "disinvolto" i decreti sui Livelli essenziali di assistenza e, soprattutto, la ripartizione percentuale della spesa là indicata.
Gli esiti dei giudizi?
Il giudice individua il debitore e lo condanna al pagamento, ma vi possono essere situazioni in cui la mancata osservazione delle norme e dei procedimenti sottesi può determinare il fatto che la struttura resti non soddisfatta. Non è raro che i contenziosi durino anni, anche più di dieci!
Può essere dimesso un paziente di fronte all’inadempienza delle rette?
In base alla giurisprudenza prevalente, le dimissioni giustificate da un mancato pagamento della retta sono illegittime, fino alla rilevanza penale. Le strutture erogano un servizio pubblico, in nome e per conto della Pubblica amministrazione che, in forza di un riconoscimento formale, il cosiddetto accreditamento, delega ad esse le prestazioni assistenziali. Non siamo di fronte a strutture alberghiere: le persone sono ricoverate in queste strutture a seguito della compromissione, totale, o comunque elevata, del loro "bene salute". Si tratta, dunque, di un rapporto (contratto) di natura pubblicistica, di fronte al quale le dimissioni per mancato pagamento prefigurano una interruzione di pubblico servizio, se non reati anche più gravi. (ep)
Fonte: Superabile.it
25/11/2013