Un libro a cura di Redattore Sociale edito da Mondadori si addentra nel terreno affascinante quanto minato delle parole, con una riflessione sull’uso dei termini utilizzati per indicare la disabilità. Le parole a volte sono come delle coperte troppo corte che non bastano ad accontentare tutti
Diversabile, lo so bene, è un termine che oggi ha perso il carattere rivoluzionario degli esordi, dei tempi caldi in cui la riflessione e la discussione su parole come "integrazione", "diritto" e "disabilità" era accesa, contradditoria e vivace. Le parole tuttavia non hanno perso la loro funzione di scrigno, di segreto, di voci di storie e di concetti… Spesso si dice che i poeti sono coloro che sanno dare un nome alle cose…ed è proprio grazie ai nomi nuovi che anche le idee possono nascere, crescere ed evolversi.
"Parlare civile. Comunicare senza discriminare", il progetto e il libro a cura di Redattore Sociale edito da Mondadori, sceglie di addentrarsi proprio in questo terreno affascinante quanto minato, all’origine del nostro comunicare, mettendo insieme in un interessante studio l’inchiesta giornalistica con quella sociale e linguistica "con lo scopo- leggiamo nell’introduzione- di approfondire i principali temi a rischio discriminazione (disabilità, genere, immigrazione, povertà ed emarginazione, prostituzione, religioni, minoranze e salute mentale), e il linguaggio per parlarne".
Numerosi esperti, tra cui, a rappresentare il mondo della disabilità, il giornalista e scrittore Franco Bomprezzi, sono intervenuti sulla necessità e l’importanza per la vita politico-sociale del nostro Paese di formule comunicative più precise e corrette, capaci di aprire nuovi immaginari inclusivi.
Ghettizzare intere fasce della società civile in labili etichette è infatti il rischio più comune dell’uso di termini noti come "handicappato", " gay", "extracomunitario", "detenuto", così comune da diventare la prassi nei nostri discorsi, al bar, a scuola, al supermercato, sul lavoro o in un’aula giudiziaria.
Peccato però che la realtà sia più complessa, piena di sfumature, sfaccettature e originalità. Ecco allora che un handicappato non si chiamerà più "diversabile" ma "persona con Sindrome di Down", "persona con deficit motorio", "persona con deficit del linguaggio" a seconda delle sue proprie caratteristiche.
Le parole a volte sono come delle coperte troppo corte che non bastano ad accontentare tutti, soprattutto quando, ci dimostra la disabilità stessa, parliamo di persone. Ragionare sui termini è sempre importante, perché, quando le parole cambiano, cambia anche la cultura e cambiamo anche noi.
"Parlare civile" ha affrontato il nuovo vocabolario anche in all’interno dell’omonimo convegno, una serie di interventi critici e testimonianze video raccolti anche sul sito del progetto, che vi invito a visitare. Sulle parole qualche tempo fa sul web era scattato persino un tormentone, "Adotta una parola", promosso dalla Società Dante Alighieri per l’uso corretto e consapevole della lingua italiana…
Io avevo pensato alla parola "tolleranza" e voi? Che parola adottereste? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sul mio profilo facebook.
Fonte. Superabile.it
09/05/2013