Stati generali delle associazioni paratetraplegici per ottenere una migliore assistenza. La battaglia di Loredana e gli altri
MILANO – Un banale incidente in auto, una caduta dalla moto, un tuffo sbagliato. La vita d’un colpo è stravolta e ci si ritrova paralizzati, col midollo spinale spezzato. Sette nuovi «casi» al giorno, circa duemila l’anno. Si stima che nel nostro Paese siano circa 75 mila le persone con tetraplegia (quando la paresi coinvolge i quattro arti) e paraplegia (paralizzati “solo” gli arti inferiori). Otto su dieci hanno meno di 40 anni. Al momento non esiste una cura, anche se la ricerca va avanti in tutto il mondo ed è motivo di speranza per i malati. Spesso, però, è carente anche l’assistenza. Secondo un’indagine della Fondazione Istud, soltanto 3 persone su 10 riescono a ottenerla presso un centro specializzato nelle 24 ore successive al trauma. Per individuare le principali criticità e affrontarle poi con strategie efficaci e condivise, la Federazione delle Associazioni italiane paratetraplegici ha promosso gli Stati generali sulle lesioni al midollo spinale.
UNITA’ SPINALI CHE MANCANO – «Le Unità Spinali Unipolari e i Centri dedicati sono quasi inesistenti al Sud, con pochissimi posti letto – afferma il presidente di Faip, Vincenzo Falabella – . Dopo il trauma, spesso bisogna passare per più ospedali o peregrinare da un reparto all’altro. Così si perde tempo prezioso. La carenza di strutture specializzate, poi, complica l’avvio immediato, subito dopo la fase acuta, del progetto individuale di recupero». C’è inoltre il calvario delle liste di attesa per chi ha bisogno di controlli post-lesione. «Si possono aspettare anche 20-30 mesi», fa notare Falabella.
ACCESSO AI SERVIZI OMOGENEO – Per cercare di migliorare l’assistenza, Faip ha avviato a livello nazionale un tavolo tecnico con associazioni e società scientifiche. «Occorre ridefinire linee guida condivise con standard di qualità per i servizi dedicati alla presa in carico globale delle persone, in modo da garantire un livello omogeneo di assistenza e identica possibilità di accesso a strutture specializzate su tutto il territorio nazionale – sottolinea Falabella – . Per esempio, ogni Regione dovrebbe avere almeno un’Unità spinale, che sia centro di riferimento per quel territorio». Il documento finale sarà portato poi all’attenzione del Ministero della Salute e della Conferenza Stato-Regioni.
SPERANZA NELLA RICERCA – Ma serve anche sostenere la ricerca. Le sperimentazioni proseguono; in Svizzera sono cominciati i primi test sull’impiego delle cellule staminali neurali umane nella cura delle lesioni croniche del midollo spinale. I malati non si fanno illusioni, ma hanno una speranza. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della ricerca alcuni di loro hanno autoprodotto un video, intitolato «La lesione spinale deve diventare curabile» e creato un gruppo Facebook, «Sruotiamoci». Spiega la sua portavoce, Loredana Longo, 28 anni, da più di 10 paraplegica a causa di un banale incidente stradale: «Un trauma può capitare a chiunque, non solo il sabato sera tornando dalla discoteca. Vorremmo far capire cosa significa vivere con una lesione spinale e che non abbiamo subito “solo” la perdita dell’uso delle gambe. A volte abbiamo bisogno di ausili per i normali bisogni fisiologici, dobbiamo lottare con piaghe da decubito e infezioni urinarie che ci complicano la vita. C’è anche chi è costretto a letto, attaccato a un respiratore. Solo una cura potrebbe restituirci una vera vita indipendente».
Maria Giovanna Faiella
Fonte: Corriere.it
28/03/2012