FERRARA. «La più grande barriera è l’ignoranza. Dopo, arriva l’architettura». Scandisce le parole Carlos Dana, presidente provinciale dell’Anmic (Associazione nazionale mutilati invalidi civili), che tra Ferrara e capoluogo conta circa 3mila iscritti. «Dell’handicap non si ha un’immagine corretta. Alla voce disabile’ si pensa subito a qualcuno in carrozzina o al cieco col bastone bianco. Mai al sordo, al celiaco, all’obeso o semplicemente all’anziano». E’ un mondo complesso quello della disabilità, declinarlo e quantificarlo è impossibile, «ci sono i paraplegici, i tetraplegici, i traumatizzati. Di certo è il commento di Dana siamo evidentemente ritenuti troppo pochi». Troppo pochi per impedire alla gente di «lasciare le bici sul marciapiede, ai commercianti di realizzare la pedana prevista per legge, alle istituzioni di vigilare procedendo con quelle sanzioni che forse debellerebbero un malcostume diffuso». Queste, secondo Dana, sono le barriere’ che ancora Ferrara presenta nonostante la legge in materia risalga alla fine degli anni Ottanta. «Il caso più semplice esemplifica , che io definisco casuale, è quello di un bar la cui distesa esterna si alza 30 centimetri da terra. Se tento di andare, cado». Poi ci sono i negozi, magari con una funzione pubblica dalle sanitarie alle farmacie dove si accede col solo gradino, «per noi impraticabile». Ancora, ci sono i bagni per disabili dei locali usati come magazzini. «Barriere» sotto gli occhi di tutti, «basta fare un giro in centro storico per rendersene conto». Di qui la decisione dell’Anmic di stringere un patto con la collettività sotto forma di campagna informativa. «Da inizio 2012, distribuiremo sul territorio 30mila cartoline prepagate e pronte per essere rispedite, in cui i ferraresi dovranno segnalare la presenza di una barriera architettonica. A quel punto noi faremo un report che presenteremo a tutte le Amministrazioni. Nel frattempo, sul nostro sito (www.anmicferrara.it) sarà pubblicata la mappa’ con un puntino rosso per ogni barriera. Man mano che i Comuni le elimineranno, il puntino da rosso diventerà verde». Un modo per fare «partecipare» la gente, per farla diventare «nostra alleata» senza carichi di responsabilità. «La cosa assurda chiarisce Dana è che il problema rimane sempre uguale a se stesso». E dettaglia: «Prima si ristrutturano gli edifici vecchi o se ne costruiscono di nuovi, poi ci si chiede cosa bisogna aggiungere per noi. E questo insiste nonostante ci sia una legge che dovrebbe ormai essere acquisita. Se ci fosse maggiore sensibilità, minore sicurezza di farla franca quando non ci si attiene alle norme, questo non succederebbe». Il vero problema, dunque, «non è abbattere le barriere architettoniche, è smettere di farle». Da abbattere, secondo Dana, c’è comunque molto altro. Dalla non garanzia per il «nostro futuro una volta che mancheranno i nostri familiari» alla percezione della disabilità in rapporto al sesso. Sul primo fronte, l’Anmic sta dando vita a una cosiddetta «fondazione di partecipazione» (pubblico-privato) per «avere la certezza della nostra presa in carico quando rimarremo soli». Sul secondo, già nel 2012 apriremo uno sportello con specialistici e psicologi. «Con troppa facilità si pensa che una volta data risposta alle nostre esigenze di mobilità, lavoro o previdenza dobbiamo ritenerci a posto. E invece bisogna ammettere che l’assenza di affettività può trasformarsi in un problema sociale. Perché per noi chiude Dana la vita non può essere solo non inciampare. È il momento di rompere i tabù».
di Camilla Ghedini
Fonte: Ufficio Stampa Ferrara
03/11/2011