Il fascicolo sanitario elettronico. Un risparmio in tempo di crisi

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Un professore racconta le storie di genitori di ragazzi diversamente abili

Questa è la storia di una disperazione, di tante disperazioni. Quella di Annamaria e di tanti altri genitori. Annamaria è la mamma di un figlio “arretrato”, come lo chiama lei. Un figlio “diversamente abile” che la scuola respinge. Annamaria ha scritto ai giornali e, dopo, abbiamo sentito altre storie come la sua. Altre testimonianze di una convivenza drammatica e spesso impossibile, a causa di altri genitori, di bimbi “normali”.
Per descrivere suo figlio, ragazzino dodicenne con un gravissimo ritardo della crescita, Annamaria usa parole forti, che vale la pena ascoltare. «Dall’inizio dell’anno sono stata richiamata più volte a scuola, fermata in strada da altre mamme che mi hanno minacciata di non mandare più i loro figli a scuola, se Matteo resta in classe. Perché Matteo, quando urla, canta, ride, non fa capire niente ai loro figli. Quando manca l’insegnante di sostegno, Matteo rimane solo in classe. Che devo fare, lo devo ammazzare mio figlio? Lo devo rinchiudere? E se non lo mando più a scuola, sa con chi starebbe a casa? Con il cane. Soli, lui e il cane. Allora? ». Siamo andati in diverse scuole, di ogni ordine e grado. Cominciando da quella di Matteo, una scuola media inferiore, all’ora d’uscita, dove abbiamo conosciuto Annamaria, «perché mica c’è il servizio pullman tutti i giorni. Io la mattina, prima di andare a lavorare, lo lascio a scuola, poi faccio la matta per venirlo a riprendere. Solo per tre giorni c’è il pullman». E quindi, Matteo, come
altre centinaia di bambini e adolescenti, è penalizzato più volte: dalla sua stessa vita e dal non poter usufruire ogni giorno del pullman. I tagli indiscriminati hanno aggravato, quest’anno più che mai, la situazione nelle nostre classi e dei diversamente abili. Sono davvero tanti quelli come Matteo che ha l’insegnante di sostegno per poche ore settimanali. «Praticamente Matteo riesce a stare concentrato in classe solo durante quelle ore in cui io gli sono accanto – spiega Antonella, l’insegnante di sostegno –. Perché ormai da anni, noi abbiamo più casi e le nostre ore devono essere distribuite». Penalizzando tutti. Perché, se in una giornata di cinque ore scolastiche, Matteo ma anche Lucia di seconda superiore, Albertino di quarta, Liliana di terza elementare e tantissimi altri, hanno la possibilità di stare poco tempo con le insegnanti, cosa
possono fare? «Cosa volete che faccia un bambino con problemi, in classe?», chiede Anna, madre di una studentessa sordomuta.
Gli amici di Matteo raccontano l’altra faccia della storia: «Noi non abbiamo problemi, ci siamo abituati alla sua presenza, anche quando canta e la professoressa spiega», «Sono i nostri genitori che si lamentano», «Io sono d’accordo che Matteo deve restare con noi per tutto il tempo della scuola. Lui è come noi».
E allora si capisce che il problema è degli adulti, persino dei professori, se chi insegna matematica nella classe di Matteo sostiene: «Non credo sia mio compito prendermi cura di questi ragazzi e fare l’insegnante di sostegno di un mio qualsiasi alunno». Quasi che i tanti colleghi di sostegno siano di serie b. Perché hanno a che fare con un’“utenza”, per utilizzare il vocabolario degli addetti alle carte della scuola, «che dovrebbe fare altri percorsi, con un posto fatto solo per loro», come spiega un dirigente scolastico. Il che significa mettere i tanti Matteo a fare lezione con i loro docenti di sostegno nei bagni, negli scantinati o nelle palestre. Perché nel nostro paese civile accade anche questo. È dura fare i conti, ancora una volta, con l’enorme distanza fra il lavoro, le speranze e l’impegno di tanti e la realtà di oggi. Annamaria ha avuto il coraggio di raccontare la sua storia, la storia di suo figlio amatissimo che chiama “arretrato”. Anche se ad essere arretrato è solo il mondo che lo rifiuta.
(L’autore è un insegnante di Lettere che ha scritto
"E la felicità, prof?", per Einaudi Stile Libero e che tiene un blog sul tema)

di Giancarlo Visitilli

Fonte: La Repubblica.it

11/12/2012