All’indomani del Patto presentato a Roma dal Network non autosufficienza, lo Spi-Cgil rilancia e alza l’asticella delle richieste. Parla il segretario nazionale, Celina Cesari: "Siamo interessati a dirottare sulla non autosufficienza i fondi per i ricoveri non appropriati. Ne guadagnerebbero le famiglie e lo stesso sistema ospedaliero. E per iniziare basterebbero 2 miliardi"
ROMA – La spesa sanitaria per supportare la domiciliarità delle persone non autosufficienti. All’indomani del Patto presentato a Roma dal Network non autosufficienza, lo Spi-Cgil rilancia e alza l’asticella delle richieste. Non un superamento del Patto stesso (vedi i lanci pubblicati nel notiziario di ieri) ma alcune considerazioni che invitano a tener conto della mutata situazione economica e istituzionale e a mettere proficuamente in sinergica osmosi il comparto sanitario e quello strettamente sociale. E il segretario nazionale dello Spi-Cgil, Celina Cesari, a spiegare spunti e riflessioni per una nuova visione dell’ambito della non autosufficienza. "Come sindacati dei pensionati, unitariamente, rivendichiamo un programma nazionale per la non autosufficienza – afferma la Cesari -. Parliamoci chiaramente: in Italia vige ormai una legislazione relativa al federalismo fiscale che supera di fatto tutto il resto. Parlare di programma nazionale ci pare, dunque, più appropriato rispetto a ciò che la legislazione italiana permette. Noi, per esempio, siamo orientati a lavorare per introdurre i livelli delle prestazioni sociali".
Dunque, l’idea di un Fondo nazionale per la non autosufficienza risulta già datata?
Nessuno di noi può pensare di cambiare le leggi sul federalismo fiscale. Francamente non lo trovo fattibile né per la composizione del Parlamento né per altri motivi. Questo, allora, supera di fatto l’idea dei Fondi nazionali perché tutti i compiti sociali e di assistenza sono assegnati alle regioni e agli enti locali. Nonché a specifici fondi regionali. Con questo non voglio dire che siamo contrari: esprimiamo obiettivamente un timore. Se poi si riesce ad avere risorse anche attraverso il rifinanziamento di un Fondo come quello per la non autosufficienza, tanto di guadagnato.
Risorse per il sociale ormai azzerate, risorse per la sanità abbondanti. E’ qui che lo Spi-Cgil vuole incidere?
Ci interessa la riconversione della spesa sanitaria proprio in direzione della non autosufficienza. In particolare siamo interessati a dirottare sulla non autosufficienza i fondi per i ricoveri non appropriati. Perché non è possibile spostare questi soldi verso la domiciliarità dei non autosufficienti? Ne guadagnerebbero le famiglie, alle prese con problemi economici e sociali davvero pesanti, e ne guadagnerebbero gli stessi ospedali. Sarebbe bello che, anche all’interno del patto per la Salute, Stato e regioni trovassero un accordo in tal senso. E’ questo su cui puntiamo.
Si parla di spostare dei soldi dal Fondo per la sanità alla non autosufficienza: qualche cifra?
Si tratta di spostare somme minime, almeno in relazione al Fondo sanità che è di 108 miliardi di euro. E tutto il sistema ne guadagnerebbe. Stime iniziali per avviare un percorso di questo tipo parlano di uno spostamento di appena 2 miliardi di euro…
L’obiezione in questi casi è già scritta: la crisi economica, le priorità…
Guardi, dal ministero della coesione sociale è arrivato un esempio bello e importante. E’ stato previsto infatti uno stanziamento sul versante della spesa sociale, di 330 milioni di euro, dedicato alla domiciliarità degli anziani non autosufficienti in quattro regioni: Puglia, Calabria, Sicilia e Campania. Un modo per colmare il gap di queste regioni con il resto d’Italia, dove la media di domiciliarizzazione è del 3,5%. Se pensiamo che l’intero Fondo per la non autosufficienza, dedicato a tutto il territorio nazionale, era di 400 milioni di euro, ecco che 330 milioni per quattro sole regioni rappresentano uno stanziamento straordinario! Uno stanziamento straordinario in un momento straordinario. Evidentemente si può fare.
Fonte: Superabile.it
02/07/2012