Come affrontare una malattia grave che colpisce i propri figli, offrendo un’aspettativa di vita non superiore ai 30 anni? Molte famiglie si trovano dinanzi al bivio: intraprendere o meno il difficile percorso delle cure sperimentali? Ad aiutarle l’associazione Parent Project
ROMA – Marco è un bambino di cinque anni con gli occhi color nocciola e il sorriso sempre sulle labbra. All’età di tre anni però i suoi genitori hanno iniziato a notare qualcosa di strano: quando era seduto sul pavimento, non riusciva ad alzarsi. "Ci siamo insospettiti e abbiamo capito che qualcosa non andava – racconta Stefano Mazzariol, il papà -. Il pediatra all’inizio ci ha consigliato di aspettare perché poteva essere un semplice ritardo motorio, ma col passare del tempo la situazione non migliorava. Così, abbiamo fatto le analisi del sangue e una biopsia muscolare". Il referto parlava chiaro: Marco era affetto dalla distrofia di Duchenne, una malattia rara che colpisce il tessuto muscolare, scheletrico, respiratorio e cardiaco dei bambini maschi. La causa è dovuta alla mancanza di una proteina, la distrofina. Con il passare del tempo, il tessuto muscolare viene sostituito da quello fibroso e adiposo: non si può più camminare, si fatica a respirare e si può andare incontro a complicazioni cardiache. Le aspettative di vita arrivano intorno ai 25-30 anni di età. Attualmente non esiste una cura per guarire dalla Duchenne. La storia di Marco è una di quelle raccontate nell’ultimo numero della rivista SuperAbile Inail. "Marco prende ogni giorno il cortisone per ritardare il più possibile il progredire della malattia. Adesso ha l’età giusta per partecipare alle sperimentazioni cliniche. Nel caso venissimo contattati per un trial, valuteremo i pro e i contro. Partecipare a un esperimento scientifico comporta dei rischi. Non è come bere uno sciroppo: spesso si tratta di terapie invasive, di iniezioni quotidiane o di flebo. Quando si parla di molecole nuove che vengono testate per la prima volta sugli uomini, il pericolo che qualcosa possa andare storto va messo in conto. Ma la speranza è più forte di tutto".
Nel mondo sono circa 50 le sperimentazioni cliniche in corso e un terzo di queste sono state avviate in Italia. Ad aiutare le famiglie che vogliono intraprendere questo percorso è Parent Project, un’associazione che ha saputo creare una rete formata da medici, ricercatori e altri specialisti a sostegno dei piccoli affetti da distrofia muscolare di Duchenne e Becker. "Ci ha aiutato a prendere coscienza della malattia e delle terapie sperimentali in corso", continua Stefano. È presente sul territorio con dei centri d’ascolto e ha attivato un numero verde (800/943333) a cui le famiglie possono rivolgersi. Ha anche avviato in Italia il progetto europeo "Eupati" che ha l’obiettivo di informare i pazienti sul processo di sviluppo dei farmaci.
Anche Milena Favalessa, quando ha scoperto che suo figlio Jacopo aveva la distrofia muscolare di Duchenne, si è rivolta a Parent Project. "I medici che hanno diagnosticato la malattia non la conoscevano bene, cercavano di addolcirci la pillola. Io e mio marito ci siamo sentiti soli, come se tutto il mondo ci fosse caduto addosso. Poi abbiamo avuto un confronto con altre famiglie di pazienti: ci hanno dato l’input per affrontare la situazione nel modo giusto, senza disperazione". Jacopo oggi ha 13 anni, ma non può partecipare a nessuna sperimentazione. "Siamo arrivati troppo tardi. Mi ero accorta che qualcosa non andava ma il pediatra mi aveva rincuorato: ci diceva che non sarebbe mai diventato un campione nello sport, ma potevamo stare tranquilli. Quando ha compiuto cinque anni però non saliva bene le scale e faticava a correre. Allora abbiamo deciso di fare degli esami più approfonditi. Ci sono voluti nove mesi per avere la diagnosi, perché nel suo dna non trovavano nessuna alterazione. Mio figlio ha, infatti, sviluppato una mutazione rara".
Prima di compiere dieci anni, Jacopo è stato contatto per iniziare un trial clinico: "Purtroppo però in quel periodo ha smesso di muoversi da solo. Per rientrare nel programma bisogna camminare almeno per 200 metri e lui ne riusciva a percorrere solo 100". Oggi Milena e la sua famiglia vivono la malattia con serenità. "L’abbiamo accettata, non abbiamo cercato altre sperimentazioni. Vogliamo dare a Jacopo un’esistenza normale, deve avere la migliore qualità di vita possibile".
Non esistono dati ufficiali su quante persone in Italia soffrano della patologia. Parent Project ha però creato il primo registro nazionale dei pazienti, come spiega Fernanda De Angelis, biologa molecolare e responsabile dell’area scientifica dell’associazione: "È stato istituito nel 2008 e raccoglie i dati dei pazienti affetti dalla Becker e dalla Duchenne. È uno strumento importante, perché permette di rendere più veloce il disegno e la realizzazione di nuovi studi clinici. In totale sono 700 gli iscritti", riferisce. "Raccogliamo anche fondi per la ricerca: gli studi in laboratorio che hanno portato all’avvio della sperimentazione clinica con il farmaco Givinostat, che mira a ridurre il processo di infiammazione e di fibrosi della malattia, sono stati finanziati in parte dall’associazione. Il nostro compito è quello di offrire consulenza psicologica, legale, educativa e supporto ai genitori ma anche ai medici del territorio e agli insegnanti nelle scuole".
Non essere lasciati soli davanti a una malattia rara è quello che chiedono le famiglie dei bambini, come racconta Milena: "Fronteggiare questo tipo di patologie significa essere consapevoli di avere un figlio malato e non poter far niente per lui. È un grosso peso da portare avanti. Ci sono genitori che si abbattono, ho assistito a matrimoni che sono finiti per questa ragione. Tutti devono sapere che con la Duchenne si può convivere. Quando mi vede preoccupata, Jacopo mi dice: ‘Mamma non essere triste, a me piace la mia vita. Sono felice’. E questo è l’importante".
Fonte: Superabile.it
14/07/2016