La FISH formalizza lo stato di mobilitazione

La FISH formalizza lo stato di mobilitazione

| 0

Un appartamento abitato da quattro persone con disabilità psichica viene sgomberato. Il presupposto che ha portato al sequestro non sussiste ma intanto i quattro sono stati portati in una residenza assistita ricavata in una ex struttura manicomiale, senza tener conto delle loro fragilità. Il commento di Salvatore Nocera, vicepresidente nazionale della Fish

ROMA – Il Tribunale di Sassari (su richiesta del pubblico ministero) ha sequestrato un appartamento in cui vivevano quattro persone con disabilità mentale. Il motivo? Sembra che la cooperativa assistenziale fosse priva dei requisiti e dell’autorizzazione sanitaria, per cui la casa era di fatto una residenza assistita irregolare. Gli inquilini dell’abitazione sono stati trasferiti, coattivamente, presso una residenza sanitaria assistita funzionante presso un ex padiglione dell’abolito manicomio di Sassari, in fase di definitiva chiusura.
I quattro inquilini abitavano in quella casa da oltre un anno e nessun intervento era mai stato effettuato dalle forze dell’ordine. Sembra che lo sgombero coatto e il sequestro siano la conseguenza del tentativo di suicidio di uno degli abitanti (come si può leggere nel decreto del tribunale a questo link
http://comitatoacasamia.blogspot.com/p/comitato.html). Sul sito in cui si trova il testo del decreto sono stati pubblicati anche altri documenti, tra cui la lettera di un familiare al medico curante del fratello per chiedere in che modo ristabilire la serenità che il fratello aveva conquistato durante il soggiorno nell’appartamento, ormai gravemente compromessa dall’improvvisa iniziativa della magistratura. La nuova collocazione abitativa è in una specie di "residuo manicomiale" insieme ad altre persone con grave disabilità mentale, non sufficientemente assistiti. Tale situazione ha gravemente alterato lo stato di equilibrio raggiunto dal fratello e, si suppone, anche degli altri ex inquilini dell’appartamento sequestrato.

Il caso ha innescato un forte dibattito nell’opinione pubblica sarda e nazionale circa la correttezza e l’opportunità dell’intervento. I familiari, che hanno immediatamente aperto il sito Internet sopra citato, hanno costituito un apposito comitato a cui hanno aderito numerose associazioni locali e nazionali di tutela dei diritti delle persone con disabilità, hanno duramente criticato la tempestività e la violenza psicologica dell’intervento, dimostrando che l’appartamento non era stato preso in locazione dalla cooperativa, ma dagli stessi disabili, tramite i rispettivi amministratori di sostegno con il pieno consenso dei parenti. Sarebbe pertanto inesistente il presupposto della gestione irregolare da parte della cooperativa di una residenza assistita abusiva. I familiari, inoltre, sostengono che si tratta di una "sperimentazione di convenienza assistita" che si svolgeva con il consenso dei medici del locale Centro di salute mentale dell’Asl. Da informazioni più precise, avute dall’Unione tra le associazioni di salute mentale (Unasam), è vero che l’appartamento era stato affittato dagli stessi inquilini e non dalla cooperativa che si limitava a prestare assistenza secondo le indicazioni dei familiari e degli amministratori di sostegno; però non esiste un accordo formale con il locale Centro di salute mentale dell’Asl, i cui medici visitavano privatamente i propri clienti presso l’appartamento. Non si capisce come mai, anche se si fosse stati in presenza di una residenza abusiva, l’intervento di sgombero sia stato così tempestivo senza un preventivo accordo con i familiari e l’autorità sanitaria è stata informata la mattina stessa, senza dare la possibilità agli inquilini di prepararsi psicologicamente al cambiamento di dimora e senza possibilità di accompagnarli in modo debito nella nuova abitazione. Si tratta di accorgimenti che nel caso di persone psicologicamente fragili avrebbero dovuto essere prese.

Una situazione simile si era verificata alcuni mesi fa in Calabria dove l’autorità giudiziaria aveva chiuso un istituto speciale per persone con disabilità a Serra D’Aiello, in cui erano rinchiusi circa 300 assistiti. Doveroso lo sgombero di un tale lager, ma del tutto inopportuna la modalità: i reclusi sono stati portati all’improvviso da Serra D’Aiello in residenze assistite lontane, ignorando le richieste dei familiari e della associazioni di volontariato aderenti alla Fish Calabria che avevano proposto la sistemazione in piccole strutture vicine al domicilio dei familiari. Nei due casi va sottolineata la differenza tra le risposte istituzionali, costituite da residenze assistite "per" persone con disabilità mentale e "convivenze" di tali persone. La differenza cioè tra una risposta in cui le persone con disabilità sono ancora viste come "oggetto" di attenzione dell’autorità esterna e quella in cui sono viste come "soggetti" che si scelgono come e dove vivere.

Non ha senso riaprire la diatriba tra i sostenitori della riforma Basaglia con la chiusura dei manicomi (Legge 180/78) e i sostenitori del mantenimento degli stessi, sia pure in forme nuove, tra i quali vi sono anche alcune associazioni di familiari. In questi casi non si trattava di persone che, dimesse o mai entrate in strutture manicomiali,erano abbandonato a se stesse a causa della mancata predisposizione di strutture di sostegno. Qui sono gli stessi familiari, d’intesa con gli amministratori di sostegno, che hanno assicurato una corretta abitazione di tipo familiare con assistenza ai singoli interessati che erano quindi sufficientemente seguiti. È poi venuto meno il presupposto che poteva, se esistente, giustificare il sequestro dell’appartamento: essendo l’appartamento preso in locazione dagli inquilini e non dalla cooperativa, certo non si può parlare di residenza abusiva.

di Salvatore Nocera

Fonte: superabile.it

16/09/2011