Prima indagine conoscitiva di Spes contra Spem e Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane. "In ospedale una persona rischia di diventare disabile due volte: bisogna dare risposte diverse in base a chi si ha davanti". Le raccomandazioni della Carta dei diritti. Ma non mancano esempi positivi, come il progetto "Dama" realizzato al San Paolo di Milano
ROMA – Tiziana era una ragazza disabile che viveva in una casa famiglia di Roma. Nel 2004 si è ammalata a causa di una forte anemia ed è stata ricoverata in ospedale. È iniziato allora il suo calvario: aveva bisogno di assistenza continua, non poteva muoversi e non riusciva a comunicare con i medici. Gli operatori che la seguivano da anni non potevano stare con lei oltre l’orario di visita. Tiziana era una degente come gli altri che doveva seguire le regole dell’ospedale. Aveva bisogno di essere cambiata, di un materassino antidecubito per evitare le piaghe, di farmaci antiepilettici ma è stata e lasciata sola. "Quando l’andavo a trovare mi chiedeva un po’ di coccole", racconta Luigi Vittorio Berliri, presidente della cooperativa sociale "Spes contra Spem", che ha presentato l’indagine sull’assistenza sanitaria alle persone con disabilità. "Aveva sempre la bocca secca, i capelli in disordine e il pannolone sporco veniva posato sul comodino. La dignità di una persona passa anche dai capelli pettinati ad una ragazza che non può farlo. Nessuno la girava nel letto. Quando lavavano i pavimenti, le finestre erano lasciate aperte. Dopo qualche settimana Tiziana si è ammalata di broncopolmonite ed è morta per noncuranza e incuria".
Dalla storia di Tiziana è nata la Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale. "Ci siamo indignati e abbiamo voluto trasformare questa tragedia in qualcosa di positivo. La Carta dei diritti è dedicata a tutte le persone come Tiziana". Secondo l’indagine di "Spes contra Spem" in Italia due strutture sanitarie su tre (36 per cento) non hanno un percorso prioritario per i pazienti con disabilità e oltre il 78 per cento degli ospedali non prevede spazi adatti di assistenza per i disabili intellettivi, motori e sensoriali. "In ospedale una persona con disabilità rischia di diventare disabile due volte: bisogna dare risposte diverse in base a chi si ha davanti".
Per Nicola Panocchia, coordinatore scientifico Carta dei diritti delle persone con disabilità in ospedale della cooperativa Spes contra Spem, la morte di Tiziana non è un caso sfortunato. "È una morte per indifferenza. Dobbiamo personalizzare le cure, parlare il linguaggio di chi ci ascolta perché la vita delle persone con disabilità non vale di meno. Questa ricerca vuole sensibilizzare gli ospedali su questi temi". Alla presentazione è intervenuto anche Antonio Malafarina, presidente della Fondazione Mantovani Castorina: "Ho provato sulla mia pelle cosa significa il ricovero in ospedale per una persona disabile. In un reparto di Milano mia madre è stata costretta ad assistermi e a pulirmi davanti a tutti. Entrambi siamo stati privati della nostra dignità, eravamo esposti alla vista e al giudizio delle persone che passavano in corridoio. Noi disabili abbiamo bisogno dei nostri caregiver, sono la nostra continuazione. Eppure in alcuni ospedali dove sono stato curato non potevo vedere nessuno e il personale non si occupava di me. Le cose devono cambiare: bisogna pensare ad un altro modo di concepire gli ospedali dove la persona è al centro".
In Italia non mancano però alcune esperienze positive come il progetto Dama, realizzato dal medico chirurgo Filippo Ghelma all’ospedale San Paolo di Milano. "È bastato poco per creare un modello di accoglienza per le persone disabili: abbiamo aperto un call center, una centrale operativa a cui la famiglia fa riferimento nei momenti di confusione o di difficoltà. Al pronto soccorso abbiamo introdotto un protocollo che l’infermiere attua quando ha di fronte una persona con disabilità. Esiste poi una equipe di programmazione, un gruppo di persone che analizza la situazione e la traduce in una risposta sanitaria. Lo sforzo è quello di evitare il ricovero improprio e di permettere ai familiari di essere sempre accanto al paziente. Le persone con disabilità intellettiva hanno bisogno di locali adeguati, di una risoluzione dei tempi di attesa e di un approccio clinico interdisciplinare: da questi presupposti è nato il progetto Dama, una realtà replicabile in altre strutture senza costi eccessivi".
Fonte: Superabile.it
05/04/2016