Legge sull’invecchiamento attivo: le richieste delle associazioni

Legge sull’invecchiamento attivo: le richieste delle associazioni

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Audizione in Commissioni Affari sociali a Montecitorio: "Non approvatele". Per l’associazione invalidi civili i nuovi criteri comportano disparità di trattamento e moltiplicano inutilmente le visite. E sono anche viziate nella forma

ROMA – Sono eccessivamente rigide e burocratiche, danno troppa importanza alla patologia trascurando le altre dimensioni che incidono sulla capacità di lavoro delle persone, abbassano la percentuale di invalidità riconosciuta rispetto alla reale situazione del soggetto, non dicono una parola sui criteri per l’assegnazione dell’indennità di accompagnamento (uno dei punti più critici dell’attuale situazione). Le nuove tabelle per l’invalidità, presentate dal ministero della Salute al Parlamento per la loro applicazione, non piacciono all’Anmic, l’Associazione nazionale mutilati invalidi civili, che ne chiede il ritiro e la modifica: una richiesta formalizzata oggi nel corso di una audizione davanti alla Commissione Affari sociali della Camera, che nella stessa occasione hanno sentito anche Fand, Fish, Anmil, Simla e Conferenza delle regioni.

Per l’Anmic l’intervento della Commissione nominata dal ministero della Salute è andato troppo in là, superando la delega che aveva ricevuto dal Parlamento e che mirava ad un semplice aggiornamento delle tabelle, non ad una loro completa rivisitazione dal punto di vista logico. Le tabelle sono rigide, non adatte allo scopo per le quali devono servire (cioè valutare la perdita di capacità lavorativa del soggetto) e sottostimano anche le conseguenze che una patologia o menomazione può avere sullo specifico lavoro del soggetto. Inoltre, poiché prevedono una pluralità di classi funzionali e di livelli di malattia, comportano dal punto di vista operativo la necessità di richiedere approfondimenti diagnostici e successive ulteriori visite, con allungamento dei tempi di attesa e relativo aggravio della spesa sanitaria. Ma ecco, in sintesi, le principali motivazioni per le quali l’Associazione chiede il ritiro del provvedimento.
 
Rigidita’ – La "dettagliatissima individuazione delle fasi che può attraversare una patologia" presente nelle nuove tabelle per l’Anmic è "pregevole da un punto di vista scientifico" ma "finisce con l’essere paralizzante ai fini dell’individuazione della capacità lavorativa del soggetto", che poi è lo scopo dell’accertamento. Si sono voluti "criteri di valutazione più oggettivi" ma il risultato è stato di "irrigidire il giudizio finale" portando a risultati che "non fotografano sufficientemente la vera condizione dell’invalido". L’Anmic ricorda che "una stessa patologia può evolversi clinicamente allo stesso modo in due persone distinte ma può avere diversi tipi di incidenza sulla capacità lavorativa di tali soggetti": fotografare solo il primo aspetto escludendo il secondo porta dunque ad errori di giudizio. Due persone con la stessa patologia tumorale giunta al medesimo stadio possono cioè vivere due situazioni reali profondamente diverse, anche in base alle reazioni personali alla chemioterapia e al loro stato psicologico: le nuove tabelle prevedono invece una valutazione identica. In pratica, è l’appunto che viene mosso, la Commissione ha "sezionato in modo più che articolato ogni processo patologico al fine di garantire un giudizio il più esatto ed il più incontrovertibile" ma lo ha fatto solamente con uno degli aspetti "di quella più complessa valutazione dell’incidenza dello stato della patologia sulla capacità di lavoro delle persone, che necessita di una considerazione in concreto, fondata sull’esame degli effetti determinatisi sulla persona, e che, invece nel sistema costruito risulta essere estranea".
 
Maggiorazione insufficiente – Altro aspetto criticato dall’Anmic è la previsione di una maggiorazione massima del 5% in presenza di menomazioni che incidono in maniera particolare sulla capacità lavorativa specifica del soggetto, previsione definita "un assurdo tecnico che porta a vere e proprie ingiustizie sostanziali". L’esempio portato è quello di due giovani, uno che svolge attività manuali e l’altro che fa il pianista, che perdono entrambi il dito mignolo della mano: con le nuove tabelle i due sono valutati allo stesso modo, assegnando al secondo una maggiorazione del 5%, ma – afferma l’Anmic – se "il lavoratore manuale potrà quasi normalmente continuare la sua attività, il pianista vedrà totalmente compromessa la sua attività lavorativa con difficoltà pressoché insuperabili di avere una alternativa". Assegnargli solamente un 5% in più equivale quindi a "commettere un grosso errore e una grossa ingiustizia". La personalizzazione della valutazione è dunque quanto mai importante, a maggior ragione in un mondo del lavoro che rispetto a 20 anni fa, nota l’Anmic, richiede molte più conoscenze particolari e abilità specifiche.
 
Tre fasce – L’Anmic fa inoltre notare che, stando la normativa attuale, la procedura di accertamento dell’invalidità mira in pratica ad assegnare il soggetto all’interno di uno dei tre macro-gruppi esistenti: chi ha percentuale pari al almeno il 46% (iscrizione al collocamento obbligatorio), chi ha percentuale pari ad almeno il 74% (pensione di invalidità", chi ha percentuale del 100% (pensione di inabilità e possibilità di indennità di accompagnamento). Questo è il dato rilevante, e piuttosto che mettere in piedi il sistema proposto la Commissione avrebbe potuto costruire semplicemente un sistema di valutazione che classificasse le patologie in rapporto ai benefici ottenibili: non "punteggi articolati", dunque, ma semplici "fasce di invalidità" cui sono connesse i benefici di legge.

Silenzio sull’accompagnamento – Altro punto dolente è il fatto che la Commissione non ha affrontato il tema della definizione dei "presupposti medico legali per la concessione dell’indennità di accompagnamento", fatto tanto più grave quanto più si considera la situazione attuale in cui "si compiono vere e proprie stragi ingiustificate, riconoscendo il diritto a tale provvidenza economica solo a soggetti in situazioni di stato pressocchè vegetativo". L’attacco è all’Inps che ha modificato tali criteri di valutazione "a scopi solo ed esclusivamente repressivi", revocando così l’indennità a molti invalidi e determinando "situazioni di ingiustizia" poi "per la maggior parte dei casi" risolte dalla magistratura. Per evitare questa "politica repressiva" – afferma l’Anmic – "sarebbe stato importante fissare dei paletti più precisi entro i quali muoversi ai fini della individuazione del concetto della non autosufficienza, presupposto della concessione della indennità di accompagnamento": ad esempio, va considerata la sola impossibilità a compiere atti "intra-domiciliari" (quelli propri della cura della persona, ad esempio), o è sufficiente "la compressione o l’impossibilità dell’attività esterna del soggetto"? Non averlo chiarito lascia inalterata la situazione attuale.

Fuori dalla delega – L’Anmic fa notare che il mandato affidato dal Parlamento con la legge 102/2009 riguardava il compito di "aggiornare" le tabelle del 1992: la Commissione tecnico scientifica istituita a tale scopo ha però fatto presente di aver ritenuto necessario "procedere alle definizioni di una nuova metodologia valutativa fondata sull’accertamento quali-quantitativo delle condizioni di disabilità", adottando così delle diverse metodologie valutative che secondo l’Anmic l’hanno portata ad agire "fuori dall’ambito della delega assegnata". Il riferimento – operato dalla Commissione – al dettato della Convenzione delle Nazioni unite sui diritti delle persone con disabilità e al sistema Icf è, secondo l’Anmic, improprio, dal momento che l’accertamento di invalidità consiste esclusivamente nella valutazione della capacità lavorativa delle persone affette da patologie invalidanti: l’utilizzo di criteri più ampi, da questo punto di vista, porta ad uno strumento che difficilmente si rivelerà "idoneo e facilmente utilizzabile per la valutazione della capacità di lavoro dei soggetti interessati". "Il Ministero della salute – afferma il presidente Giovanni Pagano – avrebbe dovuto solo aggiornare le tabelle del 1992 inserendo patologie sconosciute venti anni addietro, perfezionando le valutazioni percentuali delle situazioni invalidanti tabellate sulla base delle conoscenze medico-legali successivamente maturate e considerando gli effetti positivi della protesica anche sulla capacità di prestare attività lavorativa". (ska)

Fonte: superabile.it

02/11/2012