L’INPS deve fare marcia indietro

L’INPS deve fare marcia indietro

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di Franco Bomprezzi

Buon anno a tutti gli InVisibili. Lo so, si fa presto a dire, e rischia di apparire cinicamente ironico questo augurio quando la notizia del giorno è che l’Inps sta cercando di mettere le mani nelle tasche delle persone con disabilità sposate, cioè quelle che sono riuscite, nonostante mille difficoltà, a mettere su una propria famiglia, magari staccandosi faticosamente da quella di origine, come sarebbe legittima aspirazione normale di tanti. La notizia sembra impossibile, ma è vera. La potete leggere, con dovizia di particolari, nel sito di documentazione legislativa Handylex : in una nuova circolare, di fine anno, quella che tradizionalmente Inps dedica a riassumere in tabella le prestazioni pensionistiche per gli invalidi civili, si scopre infatti questa insidiosa e – consentitemi – vessatoria novità: da quest’anno infatti (salvo ricorsi, già in fase di stesura, da parte delle associazioni) se tra marito e moglie (di cui uno invalido civile al 100 per cento) si supera un reddito lordo (sic!) annuo di 16.127,30 euro, si perde la pensione di invalidità, pari alla splendida cifra mensile di 275,87. Resta invariato il diritto all’indennità di accompagnamento, e questa misura paradossalmente non riguarda invalidi parziali, sordi e ciechi.
La decisione è unilaterale da parte dell’Inps e non risulta contenuta in nessuna nuova norma emanata dal morente Parlamento. Ma l’interpretazione dell’istituto di previdenza, che si basa su una sentenza della Cassazione del 2011, relativa a un caso specifico, molto probabilmente ha avuto un avallo governativo, altrimenti si tratterebbe davvero di un blitz. Ne parliamo così diffusamente perché la notizia, più o meno raccontata bene, sta letteralmente terrorizzando migliaia di persone con disabilità, che già vivono sul limite, quel crinale sempre più precario che separa dall’indigenza, e che potrebbero inopinatamente trovarsi penalizzati senza neppure sapere perché. Faccio notare che il governo uscente, il cui presidente del consiglio è fortemente impegnato a lanciare una nuova Agenda per il Paese, dichiara di voler sostenere la famiglia. In questo caso avviene esattamente il contrario, e sicuramente le famiglie (le coppie sposate) di persone con disabilità sono già di per sé il frutto di una scelta coraggiosa e forte, che così viene ulteriormente penalizzata, almeno fino a quando non avverrà l’ennesima e auspicabile marcia indietro.

Ecco perché mi permetto di segnalare a “Chididovere” una piccola Agendina 2o13 delle persone con disabilità. Senza alcuna pretesa di esaurire i tanti temi che ci stanno a cuore, ma anzi con animo leggero, sperando di contribuire almeno a evitare che l’Agenda ufficiale sia davvero una Smemoranda.

In questa Agendina terrei fermi soprattutto alcuni piccoli ma fondamentali princìpi. Il diritto delle persone con disabilità e dei loro familiari ad una seria consultazione prima di prendere gravi decisioni con conseguenze evidenti sul loro destino presente e futuro. Esistono infatti ormai competenze riconosciute a tutti i livelli, e male utilizzate, per fare chiarezza sui servizi da destinare alla persona, alla famiglia, sui servizi residenziali, sulle prestazioni socio assistenziali, sull’inclusione scolastica, sull’integrazione lavorativa, sulla mobilità personale.

Il governo che verrà non dovrebbe vedere le persone con disabilità solo come un fardello scomodo, un cumulo di spese da sostenere, un impaccio da nascondere sotto il tappeto, o da delegare al solidarismo compassionevole e al volontariato. Sarebbe assai meglio provare a ragionare, anche in modo radicalmente nuovo ma comunque documentato e serio, su come garantire realmente pari opportunità di vita e di lavoro, con quali strumenti, con quali risorse pubbliche e private, con quali incentivi o penalità, aggiornando e semplificando le leggi e le procedure, costruendo una rete di controllo di qualità della quale facciano parte i diretti interessati, gli unici che sicuramente hanno buoni motivi perché i soldi di tutti vengano spesi bene.

Non voglio parlare delle singole misure. Ma qualche esempio rende l’idea: se si continua a buttare un sacco di denaro pubblico nei controlli a tappeto sulle pensioni di invalidità, dopo aver raschiato ormai il fondo del barile, non solo non si scopriranno “falsi invalidi” (che poi sono quasi sempre, come si è visto, falsi ciechi da tanti anni, non persone dichiarate invalide in questo ultimo periodo) ma si toglieranno diritti veri a chi ne ha effettivamente bisogno, pur di fare cassa.

Forse è il caso che nelle varie Agende si tenga conto della differenza abissale tra la condizione di disabilità che si evolve nel corso dell’esistenza, e quella disabilità che inevitabilmente si manifesta quando si diventa molto anziani e non autosufficienti. Usare come si fa adesso più o meno gli stessi strumenti di definizione e di assistenza significa creare un calderone unico, ingestibile, farraginoso e pieno di ingiustizie e persino di furberie italiche. La separazione della spesa per la disabilità da quella per la non autosufficienza delle persone anziane farebbe intanto scoprire che due terzi della spesa globale va proprio a questa fascia di popolazione sempre crescente. Che forse ha bisogno di strumenti diversi dall’indennità di accompagnamento o dalla pensione di invalidità, ma di un serio programma di cure e di assistenza domiciliare.

Sempre in questa Agendina 2013 mi piacerebbe che comparisse di nuovo la voce “Lavoro”. Se riuscissimo in questo malandato Paese ad accompagnare i primi segnali di ripresa anche ad un piano mirato e competente di nuovi inserimenti lavorativi di persone con disabilità, attraverso incentivi anche fiscali e previdenziali per le aziende e per le cooperative e le imprese sociali, molto probabilmente riusciremmo in modo del tutto indolore e naturale a ridurre il numero delle pensioni di invalidità, senza dover ricorrere a norme vergognose come quella citata all’inizio.

Nella mia piccola e incompleta Agendina vorrei che la scuola avesse un posto speciale. Dagli asili nido all’università infatti la cosa che più rendeva orgoglioso come italiano con disabilità era proprio la legislazione sull’inclusione scolastica. Un modello da esportare in Europa e nel mondo, non da smantellare mitridaticamente, al di là delle dichiarazioni ufficiali dei ministri di turno. Ma per salvare l’inclusione scolastica occorre anche puntare sulla specializzazione e la formazione di tutti gli insegnanti, non solo quelli di sostegno, e sulla collaborazione anche degli enti locali che assicurano trasporti, assistenza, presa in carico dentro e fuori la scuola.

Ed ecco l’ultima nota, dentro la mia Agendina: è mai possibile che nel 2013 le persone con disabilità vengano ancora “spacchettate” e trattate un pezzetto alla volta, come si fa (passatemi il paragone greve) con il maiale? Possibile che non ci si renda conto che la persona è sempre la stessa, da quando nasce a quando cresce e diventa adulta? Non è forse giunto il momento di creare un punto unico di presa in carico delle persone, costruendo assieme a loro un progetto di vita normale, che prevede un’attenzione seria e competente in tutte le fasi della vita?

Forse in questo modo si potrebbe convertire e orientare allo sviluppo sostenibile anche quel vasto indotto di attività economiche che vivono attorno alle persone con disabilità, e che spesso si propongono in concorrenza tra loro, senza controlli adeguati sulla qualità e l’appropriatezza della spesa pubblica. Non basta infatti pensare all’Isee, alla partecipazione alla spesa da parte delle famiglie. In quel modo si pensa sempre e soltanto in termini di costi, di tassazione indiretta, di penalizzazione nei confronti di chi già è svantaggiato e forse rischia di non farcela più.

Sono stato un po’ lungo, ma forse questa Agendina meriterebbe ancora altri appunti e noterelle. Beh, a questo punto la parola passa agli InVisibili.

Fonte: Corriere della Sera.it

07/01/2013