L’ONU, le Paralimpiadi e la Convenzione

L’ONU, le Paralimpiadi e la Convenzione

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Dei settanta indagati per doping dalla Procura di Padova non è il nome più noto. Ma è forse quello che più fa male. Fabrizio Macchi, 42 anni, Varese, non partirà per le Paralimpiadi di Londra. In quella lista, anticipata da Panorama, c’è anche lui. La Procura antidoping del Coni ha chiesto 8 anni, “per essersi avvalso della consulenza e della prestazione di un soggetto inibito durante il periodo 2007-2010, quindi in modo continuo e reiterato”. Il “soggetto” è Michele Ferrari. Lo stesso di Alex Schwazer. Macchi si era detto tranquillo. “Se perdo l’Olimpiade denuncio tutti. Sono sereno e aspetto di partire per Londra: intanto ho spedito le mie biciclette. La gente si inventa un sacco di cose”. Le bici sono state spedite invano: considerate le norme sportive antidoping del Cip (il Comitato Italiano Paralimpico), l’esclusione è scattata. Inesorabile, inevitabile. Macchi non ha negato di avere frequentato Ferrari, alludendo però a motivi laterali. “Ferrari non mi ha mai seguito e lo conosco perché sua figlia ha fatto la sua tesi in Scienze motorie su di me. Fu lui a contattarmi. Il lavoro per la tesi è durato circa un anno e mezzo, tra il 2008 e il 2010. Abbiamo fatto un test all’istituto di Ferrara, in presenza di altri medici, e stilato un programma, visto che venivano esaminati tutti i miei valori. Ogni volta, con la figlia Sara, c’era anche lui. Ci saremmo visti una decina di volte. Ovvio che abbia parlato con loro anche al telefono e via email, ma non sono indagato”. Qualcuno gli crede, altri si sforzano di farlo. Per una strana speranza collettiva, probabilmente inconscia, si credeva che il doping – la frode, la bugia – non riguardasse i paralimpici. Che i disabili ne fossero in qualche modo amnistiati. Quando Oscar Pistorius ha corso le batterie dei 400 metri a Londra, tutti tifavano per lui: era, a prescindere, un eroe. Per la sofferenza. Per la redenzione agonistica. Per una parabola umana che commuove, inquieta, coinvolge. Vale anche per Fabrizio Macchi, che ovviamente resta innocente fino a prova contraria. Amputato alla gamba sinistra per un tumore osseo scoperto per caso – un colpo al ginocchio, il dolore che non passa – in giovane età. Da quel momento, un eclettismo atletico smisurato. La maratona di New York nel 1991. Tre campionati italiani vinti tra il ’ 93 e il ’ 95, sia nel salto in alto che in quello in lungo. Apripista di Alberto Tomba ai mondiali del Sestriere 1996. Medaglia di bronzo, l’anno successivo, ai mondiali di canottaggio. Quindi il ciclismo, su pista e su strada. Vittorie, imprese, record dell’ora dal ’ 98 a oggi. Correre, dominare, stupire. Quella di Londra sarebbe stata la quarta Olimpiade, dopo i quinti posti a Sydney e Pechino e il bronzo ad Atene. La vedrà da casa. Ribadendo la sua innocenza, mentre è certa – a prescindere dall’esito giuridico di questa vicenda – una colpevolezza trasversale. Quella di chi, fino ad ora, credeva che i disabili fossero “diversi”. Anche nella voglia, talora malata e incontrollabile, di vincere. Sparigliando a tutti i conti il destino, non di rado bastardo.

di Andrea Scanzi

Fonte: Il Fatto Quotidiano.it

27/08/2012