MILANO. «Bruce Springsteen è stato grande, Milano invece è stata solo un´amarezza. Forte. Indimenticabile». Capelli raccolti, un po´ di trucco, occhiali da sole che nascondono due occhi vivacissimi, maglietta rosa fucsia allacciata sul collo che lascia spalle scoperte con pantaloni e una pashmina appoggiata sulle gambe. Lucilla De Nale ha 49 anni e da venti la sua vita scorre su una sedia a rotelle a causa di un incidente stradale. «Ma sono autonoma, mi muovo con la macchina. E se ci sono appuntamenti che mi interessano non ho problemi a spostarmi». Sposata con un figlio, molto impegnata nel mondo del volontariato a Sovizzo, dove vive, aveva deciso di raggiungere Milano, lo scorso 8 giugno, per assistere a San Siro a uno dei tre concerti che Bruce Springsteen, l´icona del rock americano, aveva in calendario in Italia.
IL VIAGGIO. «Sono partita il giorno prima in treno, a Milano mi avrebbe raggiunto un´amica, Daniela, che vive a Sondrio. Ci siamo incontrate alla stazione centrale, felici e contente per quello che ci attendeva in serata. Non siamo ragazzine, ma un concerto di quella portata, con 80 mila persone allo stadio, non era da perdere. Prima pensavamo di passare al “My Hotel” dove, da tempo, avevamo prenotato una camera per registrarci. Ma dalla stazione è iniziata la nostra odissea».
L´ODISSEA. Le due amiche si sono avviate verso la metropolitana, che però non era raggiungibile né con l´ascensore, né con il servoscala. «Ci siamo guardate attorno – prosegue Lucilla – il tempo passava e non potevamo fare nulla. Fuori c´era una pattuglia della polizia e abbiamo raggiunto e parlato con i due agenti. Sono stati gentilissimi, ci hanno organizzato lo spostamento lasciandoci nelle mani di una dipendente dell´Atm, l´azienda milanese dei trasporti, che doveva accompagnarci».
LA METRO. Però, non siamo che all´inizio dell´odissea. «Purtroppo siamo rimaste bloccate nuovamente alla stazione Cadorna: l´ascensore era fuori servizio. Erano le 15 e lì, nonostante il prodigarsi del personale, siamo rimaste per ben due ore: non si riusciva a sbloccare l´ascensore. A quel punto la rabbia, il senso d´impotenza e l´umiliazione salivano sempre di più: mi guardavo attorno vedevo centinaia di persone che si muovevano senza problemi ed io ero lì, nella città più moderna e all´avanguardia d´Italia, Milano, e non potevo uscire dalla metropolitana. A quel punto ho chiamato il 113 e ho minacciato denunce. Alla fine, erano quasi le 17, qualcuno del personale ha fatto arrivare un mezzo che ci ha portate direttamente a San Siro. Si era fatto tardi, non potevamo più passare in albergo, l´Atm non poteva accompagnarci e così la titolare ci ha negato la camera perché non riuscivamo ad arrivare entro le 20, ora in cui chiudeva la reception. In sostanza, dopo quel termine non ci sarebbe stato nessuno a farci vedere come funzionava il servoscala che mi avrebbe permesso l´accesso alla stanza».
LO STADIO. «A quel punto ci siamo dirette allo stadio e devo dire che appena entrate abbiamo dimenticato tutto. A me è passata la rabbia, la disperazione. Sono bastate le note della band, la voce del Boss per mettere da parte tutte le disavventure che mi avevano accompagnato. Magari avrei preferito un concerto dei “Doors”, ma quando ho sentito “The river”, quando ho visto migliaia di persone che ballavano e lui che, per quattro ore, non ha mai smesso di cantare ho sentito un´emozione fortissima».
L´ALBERGO. Però le disavventure per Lucilla e Daniela non erano ancora finite: all´uscita di San Siro dopo l´una di notte, hanno vagato per due ore in cerca di un taxi. «A quel punto ci siamo fatte accompagnare direttamente in stazione, alberghi non ce n´erano. Abbiamo trascorso la notte alla Centrale, tutte le toilette erano chiuse e mi sono dovuta rivolgere alla Polfer perché stavo male e avevo bisogno di un servizio. Alle 6,30 ho preso il primo treno per Vicenza. Ero stanca , stravolta. Certo, ne valeva la pena. Però a distanza di tempo mi chiedo ancora come possa accadere tutto questo? Se una società si definisce civile deve assicurare libertà e rispetto. Per tutti. Se questi principi vengono meno crolla tutto, ecco perché ho deciso di parlarne».
DIRITTI NEGATI. «Affinché non accada più quello che ho dovuto subire, vorrei che le coscienze si svegliassero non solo a Milano, una città che mi ha tolto respiro, mi ha dato angoscia, disperazione, ma in ogni piccolo paese della terra dove un disabile non può arrivare. I diritti valgono per tutti, con o senza sedia a rotelle. Spero di non dover più subire, soffrire. Ho avuto la forza di andare avanti a 19 anni. Lotto da allora, adesso basta. Chiedo civiltà».
Chiara Roverotto
Fonte: Il Giornale di Vicenza
09/07/2012