È questa la sostanza del messaggio lanciato dall’organizzazione Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato, nel corso di un’audizione in Commissione Affari Sociali e Bilancio della Camera, basata su un’indagine che evidenzia – prendendo in esame vari indicatori – come si stia passando dal contenimento della spesa sanitaria a un vero e proprio definanziamento lineare del Fondo Sanitario Nazionale
ROMA. «Il Servizio Sanitario Nazionale è e deve rimanere pubblico: dal contenimento della spesa sanitaria, siamo passati a un vero e proprio definanziamento lineare del Fondo Sanitario Nazionale, nonostante la sanità assorba il 7,1% del PIL [Prodotto Interno Lordo, N.d.R], producendone oltre l’11%»: è questo uno dei principali contenuti dell’Audizione in Commissione Affari Sociali e Bilancio della Camera dei Deputati di Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato. Qui di seguito, alcuni dei principali nodi toccati dall’associazione nel corso dell’audizione.
L’ammontare complessivo delle riduzioni di stanziamenti per gli anni 2012-2015, è pari a circa 35.000 milioni di euro, come si può leggere in un ampio documento prodotto sulla materia dall’organizzazione, e per la prima volta, nel 2013, il Fondo Sanitario Nazionale è inferiore in valori assoluti a quello del 2012.
La riduzione lineare ha danneggiato tutti: realtà virtuose e meno virtuose, lasciando inalterate le inefficienze e gli sprechi preesistenti. La stessa Corte dei Conti, nel recente Rapporto 2013 sul coordinamento della finanza pubblica, ha segnalato come a fronte di un miglioramento dei conti, sussistano comunque tensioni sulla garanzia di adeguati livelli di assistenza e segnali preoccupanti sul fronte della qualità dei servizi resi ai cittadini.
La seconda questione fondamentale posta da Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato è quella della delega assistenziale attuata da parte dello Stato nei confronti delle famiglie, all’interno delle quali vi è una persona anziana con patologia cronica e rara, e più in generale con disabilità.
La famiglia è il pilastro dell’attuale sistema di welfare ed essa colma i bisogni assistenziali non solo provvedendo all’assistenza diretta alla persona con patologia cronica e rara, ma anche mettendo fortemente mano al proprio portafoglio. Ciascuna famiglia dedica mediamente all’assistenza del familiare anziano oltre cinque ore al giorno e tale situazione molto spesso non permette ai componenti del nucleo di conciliare l’orario lavorativo con le esigenze di assistenza, arrivando a situazioni di licenziamenti e mancati rinnovi o interruzioni del rapporto di lavoro.
A tutto ciò va aggiunta la difficoltà crescente per le famiglie di fronteggiare l’onere economico correlato, che impatta significativamente sui redditi familiari. Solo per fare alcuni esempi, le famiglie mediamente spendono in un anno 8.488 euro per il supporto assistenziale integrativo alla persona, 1.127 euro per farmaci non rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, 1.297 euro per l’acquisto di parafarmaci, 3.178 euro per lo svolgimento di visite, esami o attività riabilitativa a domicilio.
La terza grande questione concerne la mancanza di equità di accesso alle prestazioni sul territorio nazionale. Vale senz’altro la pena proporre alcuni esempi. Su cinquecentottanta punti nascita esaminati – come riferisce un’indagine della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva) del 2012 – solo Valle d’Aosta e Friuli Venezia Giulia erogano il parto in analgesia nel 100% dei casi; seguono il Trentino (86,7%) e la Toscana (84,2%). All’opposto, in Molise nessun centro eroga il servizio di epidurale da travaglio, la Sicilia lo esegue nel 6,2% dei punti nascita, la Basilicata e l’Abruzzo nel 14,3% dei casi.
Solo sei regioni su ventuno, poi, assicurano il medico di famiglia o il pediatra di libera scelta ai figli di migranti non regolarmente iscritti al Servizio Sanitario Nazionale: si tratta della Toscana, dell’Umbria, della Provincia Autonoma di Trento, dell’Emilia Romagna, delle Marche e delle Puglia.
Per quanto poi riguarda la procreazione medicalmente assistita (PMA), si va dal Molise dove non esiste alcun centro, alla Lombardia con sessantatré centri. Solo Toscana, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Trento hanno inserito le prestazioni di PMA nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), con ticket o quota di compartecipazione, senza alcuna esclusione della popolazione interessata.
E ancora, rispetto alla prevenzione, a livello di copertura vaccinale, solo l’Umbria nel 2010 ha raggiunto l’obiettivo fissato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità del 95% (arrivando precisamente al 95,4%) di copertura del vaccino MPR (morbillo-parotite-rosolia) nei bambini a 24 mesi; poco al di sotto la Lombardia (94,67%, pur in flessione rispetto al 95% del 2009); undici Regioni, quindi, si attestano o superano di poco il 90%, mentre al di sotto di questa soglia sono la Sicilia, la Campania e la Calabria.
Anche l’accesso ad alcuni farmaci di ultima generazione per la cura dei tumori mostra diverse realtà all’interno del Paese: su diciotto specialità farmaceutiche prese in esame, il Molise non ne eroga sette, la Valle d’Aosta cinque, la Basilicata quattro. Inoltre, Regioni come l’Emilia Romagna, il Molise, l’Umbria e il Veneto pongono limitazioni aggiuntive – per l’uso di tali farmaci – rispetto a quanto previsto dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), mentre alcune (ancora l’Emilia Romagna, l’Umbria e il Veneto, insieme alla Puglia) ne consentono l’accesso solo dietro richiesta motivata da parte del medico prescrittore.
Analoga situazione stanno vivendo i pazienti con epatite C, che non vedono ancora riconosciuto uniformemente su tutto il territorio nazionale il diritto di accesso alle nuove terapie salvavita [su tale specifico problema si legga anche, ampiamente, nel nostro giornale, N.d.R.].
Rispetto infine all’assistenza domiciliare integrata, nel 2010 l’Emilia Romagna si era attestata all’11,6% di persone anziane trattate con tale sistema; seguivano l’Umbria (7,67%), il Veneto (5,55%) e la Basilicata (5,03%), mentre Piemonte, Marche e Puglia si erano attestate all’1,9%.
Queste, in conclusione alcune delle proposte avanzate da Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato:
– stop ad ulteriori riduzioni di stanziamenti al Servizio Sanitario Nazionale, che rappresenta un investimento e non un mero costo per la collettività. Piuttosto vanno colpite le duplicazioni e la burocrazia inutile che crea sprechi per lo Stato e i cittadini (ad esempio le Commissioni Regionali del Farmaco, i Prontuari Terapeutici Ospedalieri Regionali e altro);
– passare dal taglio lineare alla programmazione socio-sanitaria integrata, con particolare riguardo alle patologie croniche e rare (Piani Nazionali, PDTA-Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale), e investendo molto di più in prevenzione;
– garantire equità di accesso alle prestazioni su tutto il territorio nazionale;
– potenziare la capacità di render conto da parte degli amministratori pubblici rispetto all’impiego delle risorse pubbliche, dell’organizzazione dei servizi e delle performance. Il rovescio della medaglia è la trasparenza delle scelte, della capacità di amministrare e programmare per i cittadini, anche in termini di qualità/quantità dei servizi erogati;
– garantire la partecipazione dei cittadini ai processi di governance, al monitoraggio del rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza e alla valutazione delle performance. (Ufficio Stampa del CnAMC di Cittadinanzattiva)
È disponibile il documento integrale servito da base per l’audizione alla Camera, a Cittadinanzattiva-Tribunale per i Diritti del Malato. Per ulteriori informazioni e approfondimenti: cnamc@cittadinanzattiva.it.
Fonte: Superando.it
04/07/2013