BARI. «Mi dia le carte, che faccio scendere il dottore a visitarla». Inps di Bari, lungomare Nazario Sauro, le 9 e mezza di mattina. La guardia giurata all´ingresso dell´Istituto di previdenza sociale ha il tono gentile ma categorico. Per i disabili che arrivano in carrozzina non c´è nulla da fare: montascale rotto, impossibile salire. Non resta che tornare a casa oppure sottomettersi all´accertamento medico in mezzo al corridoio. Davanti a quei gradoni che mai come ieri apparivano insormontabili. Qualcuno sceglie di sacrificarsi, pur di risolvere la situazione e portare avanti la propria pratica. Anita no. E resta al fianco della mamma, all´ingresso dell´istituto, rifiutando qualsiasi compromesso e costringendo il direttore a impegnarsi in prima persona.
«Per tutelare un mio diritto – spiega, con una voce flebile come il suo corpo segnato dalla sclerosi – perché se ce ne andiamo il montascale non lo aggiusteranno per ora. Se si fosse rotto l´ascensore – sottolinea – sarebbero arrivati a ripararlo immediatamente e la cosa assurda è che fanno sembrare strano il mio ragionamento». E così Anita, 22enne studentessa di Psicologia, attende. Nonostante i tentativi dello stesso direttore provinciale Francesco Miscioscia che mette a disposizione alcuni dipendenti per salire a mano la carrozzina. «Ma tanto non ce la farebbero mai perché è pesantissima».
Arrivano altri disabili. E qualcuno si abbandona a un commento che non lascia dubbi: «Non è vero che si è rotto stamattina il montascale – evidenzia un signore in attesa – è almeno una settimana e la soluzione di visitare in mezzo alle scale è diventata ormai un´abitudine». Con buona pace della privacy. Ma la versione è immediatamente sconfessata dal direttore Miscioscia: «Non è vero – spiega – si è danneggiato oggi e siamo corsi immediatamente ai ripari». La protesta è condivisa, qualcuno propone addirittura un esposto in procura. «Non vogliamo arrivare a questi livelli ma è scandaloso che l´unica soluzione prospettata al problema sia la visita nel corridoio – tuona Ives, la mamma di Anita – ma del resto siamo abituati a questo trattamento da terzo mondo. Si comportano con mia figlia come se fosse un cane, io posso entrare e mettermi in fila ma devo lasciare fuori lei perché non può entrare».
Arrivano ancora altri disabili. «Mi dia le carte, scende il medico». Passa ancora del tempo e solo dopo un paio d´ore abbondanti arrivano i tecnici e Anita può finalmente salire. «Solo perché c´erano i giornalisti, altrimenti sarebbe passato tutto sotto silenzio – spiega Ives – e comunque non hanno riparato nulla: ci sono fili scoperti e la pedana traballa». Ostacolo superato. Per ora.
di Fulvio Di Giuseppe
Fonte: La Repubblica
28/07/2011