Nadia, epilettica: a un anno dalla prima crisi fonda un’associazione sportiva

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"Non è bello portarti sempre con me, sei tu che comandi la mia vita. Ma con la laurea, il tesserino da giornalista e la vita indipendente, ho vinto io". Così Elisa Vavassori, 33 anni si rivolge alla sua patologia. E la sua storia fa il giro della rete

ROMA – "Convivo con te da 30 anni, ma tante volte ho vinto io": una presa di coscienza, ma senza rassegnazione. E’ questo il sentimento con cui Elisa Vavassori si rivolge alla sua malattia rara, in una "lettera alla Sma" che da ieri sta facendo il giro della rete, riscuotendo l’interesse e il plauso di tanti, soprattutto di chi si trova a vivere una condizione simile alla sua.

Elisa e la Sma. Elisa ha 33 anni: era ancora piccolissima quando i genitori si accorsero che qualcosa non andava. Come spesso accade in questi casi, infatti, sono gli occhi attenti di mamma e papà a osservare ciò che mai avrebbero voluto vedere e che pochi medici, forse, avrebbero saputo notare. "Ero debole, non gattonavo, mangiavo poco, così mi hanno portato a fare i controlli – racconta – Avevo due anni quando la diagnosi della biopsia svelò una forma di Sma II (atrofia muscolare spinale)". Da quel momento, la strada è stata naturalmente tutta in salita, "la malattia nel corso del tempo è avanzata tantissimo: da piccola potevo stare in piedi coi tutori, andare in bicicletta, mangiare di tutto: ora queste cose mi sono precluse". Oggi, a quella malattia che sempre l’accompagna, Elisa indirizza una vera e propria lettera, in cui si rivolge al suo male per raccontarlo, in realtà, a tutti quelli che non lo conoscono. Ma anche a chi lo conosce, perché ne condivide l’esperienza.

"Non è bello portarti ogni giorno con me". Una malattia rara e implacabile come la Sma non è certo una sorte facile da accettare. "Cara Sma, io e te, ormai, conviviamo da 33 anni e, secondo alcuni giudici, perfino ‘pacificamente’. Non è bello portarti sempre con me: nella maggior parte dei casi, sei tu che comandi la mia vita: quando ho sete, quando ho fame, quando vorrei truccarmi o pettinarmi, quando vorrei rigirarmi nel letto, quando vorrei aiutare nelle faccende domestiche o semplicemente quando vorrei accarezzare una persona cara tu non me lo permetti. A svolgere qualsiasi azione quotidiana deve essere qualcun altro, un parente, un’assistente, il mio compagno… perché tu, cara Sma, a molti sei sconosciuta, ma hai il potere di cambiare la vita a chi ti trova sul suo cammino e a tutti quelli che gravitano attorno a te".

La Sma, conoscere per comprendere. La lettera di Elisa vuole però essere soprattutto un modo per "far capire alle persone cos’è la Sma – ci spiega – dopo che un angelo di soli tre mesi è volato in cielo a causa della SmaI, in un paese vicino a Carugate". Così, la lettera prosegue con alcune informazioni "tecniche": "Acronimo di Atrofia muscolare spinale, sei rara, ma non poi così tanto. Sei una patologia neurodegenerativa caratterizzata dalla specifica perdita dei motoneuroni inferiori, i cui soma risiedono nelle corna anteriori del midollo spinale e sei la causa principale di morte infantile. Ti classifichi, principalmente, in quattro forme, in base al periodo in cui fai visita alla tua vittima: SMA tipo I, la peggiore, perché strappi dalle braccia di genitori spaventati i loro cuccioli dopo pochi mesi o pochi anni di vita; SMA tipo II, o intermedia, dove si sopravvive, ma tra mille difficoltà inimmaginabili, come me; SMA tipo III, o lieve, dove insorgi inaspettata ad adolescenti sconvolgendogli la vita e, infine, SMA tipo IV, o adulta, la meno aggressiva. In tutti i casi, il tuo ruolo è rendere la vita dura, fatta di rinunce e perdita progressiva dell’autonomia".

"Ho vinto io, mente tu sei rimasta in un angolo". C’è qualcosa, però, che Elisa è riuscita a sottrarre al potere devastante della malattia: "l’intelligenza, la voglia di vivere e la determinazione a lottare per raggiungere traguardi impossibili. Io, infatti, con te ci convivo, ma quando mi sono laureata, quando ho ottenuto il tesserino da giornalista, ma soprattutto quando ho trovato l’amore e mi sono costruita una casa e una famiglia, lì ho vinto io e tu sei rimasta in un angolo a guardare il mio trionfo". Elisa infatti ha oggi una vita attiva, nonostante tutto: ha una famiglia, un compagno con cui presto si sposerà, è responsabile della sezione lombarda di Asamsi (associazione per lo studio delle atrofie muscolari spinali infantili) e, alle recentissime elezioni politiche, si è candidata con "Io cambio" una lista indipendente, un "partito senza padroni – ci racconta – che non si schiera né a destra né a sinistra, e che ha accettato di supportare le mie battaglie per il diritto alla libertà di cura, qualsiasi essa sia, e all’assistenza: in particolare l’assistenza domiciliare concepita secondo la legge 162/98 per la vita indipendente". Sì, perché la vita indipendente è uno del valori irrinunciabili di Elisa, nonché la sua più grande conquista. "Sono del parere che in Italia tutti dovrebbero poter fruire della legge 162/98 per la vita indipendente – ci dice – È vero che siamo disabili, ma siamo persone come tutti e dobbiamo poter decidere autonomamente della nostra vita, scegliendo dove vivere, come vivere e non facendo scegliere allo Stato in che istituto metterci. Non siamo esseri viventi da ghettizzare, ma siamo capaci di autodeterminarci e dobbiamo avere il sacrosanto diritto di vivere in una casa, con le persone che amiamo e, soprattutto, con un’assistente scelto, assunto e formato da noi. Io ho un progetto di vita indipendente con un’assistente da me scelta e assunta regolarmente per 8 ore al giorno, 5 giorni a settimana. Ho lottato oltre 2 anni col comune per vedermi riconosciuto il diritto alla vita indipendente e alla fine ho vinto".

Le malattie rare e "lo status quo". La testimonianza di Elisa è certamente incoraggiante per tanti, con lei, condividono la sorte di una patologia rare. Eppure, tante sono le difficoltà e troppi gli ostacoli che queste persone incontrano sul loro percorso. "Per le malattie rare – ci dice Elisa – trovo che il nostro paese faccia fatica ad aprirsi alle novità scientifiche e che tenda a mantenere lo ‘status quo’ delle cose, anziché aprirsi a innovazioni terapeutiche. I problemi più urgenti da risolvere, adesso, sono sicuramente quelli legati all’assistenza. Bisogna fare in modo che l’Italia rispetti la convenzione Onu per i diritti della disabilità e tutte le Regioni abbiano lo stesso livello assistenziale. Non possono esistere, nel 2014, famiglie con bimbi disabili gravissimi a cui non viene nemmeno garantita un’assistenza infermieristica minima. Conosco famiglie con bimbi tracheotomizzati a cui la Asl non riconosce nemmeno 2 ore di assistenza e questo abbandono delle istituzioni è immorale e scandaloso, perché questi genitori non sono liberi di potersi andare a bere un semplice caffè, altrimenti il loro bimbo, senza sorveglianza, potrebbe morire. Questi genitori, spesso giovani, perdono il lavoro, la spensieratezza e la propria vita per adempiere alle gravi mancanze dello Stato!"

Speranze per il futuro, con l’insegnamento del passato. Guardando al domani, Elisa è prudente rispetto alle promesse della ricerca. "Non sono un medico, né un ricercatore, quindi non do giudizi in merito a ciò che sono gli attuali progressi scientifici. Questo perché non mi piace illudere inutilmente le persone. Ma io ho la mia idea precisa in merito a tutti i nuovi trial che stanno balzando agli onori delle cronache: la tengo per me, per non influenzare nessuno. Dico solo che sono oltre 30 anni che sento dire di farmaci miracolosi per la Sma: ogni volta un immenso buco nell’acqua. Forse per alcuni il passato non insegna, a me, invece, insegna molto". Guardando al proprio futuro, invece, Elisa vede soprattutto "un matrimonio. Poi un altro sogno, ma lo tengo solo per me…".

Fonte: Superabile.it

30/05/2014