Pellegrini in bicicletta con il figlio disabile – 01/09/2012

Pellegrini in bicicletta con il figlio disabile – 01/09/2012

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Un avvocato disabile denuncia un magistrato in pensione, accusato di avergli rigato la fiancata dell’automobile, parcheggiata nello spazio riservato agli invalidi. Una vicenda che testimonia ulteriormente la fase critica della convivenza civile che stiamo vivendo. «Se siamo convinti di un abuso – scrive Franco Bomprezzi – magari limitiamoci a chiamare i vigili urbani. Forse è meglio»

Ho letto con curiosità e apprensione una notizia proveniente dalle cronache fiorentine del «Corriere della Sera». Un avvocato disabile che ha denunciato un magistrato in pensione, accusato, dopo essere stato ripetutamente filmato, di avergli rigato la fiancata dell’automobile, parcheggiata nello spazio riservato agli invalidi.
Grande stupore e molti interrogativi circa il movente, apparentemente del tutto incomprensibile: è davvero difficile infatti immaginare per quale motivo un ex magistrato, descritto come integerrimo e tranquillo, decida di accanirsi con un gesto vandalico e stupido nei confronti dell’autovettura di una persona che utilizza un suo diritto, sancito dal contrassegno per la sosta.

Io un’idea ce l’ho, e la butto lì, senza la pretesa di sostituirmi a Sherlock Holmes o comunque al lavoro delicato degli inquirenti. E senza nulla di personale nei confronti dei protagonisti di questa storia. Ho la sensazione, infatti, che siamo di fronte allo strano caso del “giustiziere della sosta”. Una tipologia umana che si sta diffondendo, e spiego perché.
Da molto tempo, ormai, la gente guarda con crescente sospetto tutti coloro che dichiarano di essere invalidi. Il contrassegno per la circolazione e la sosta, poi, si è configurato, nell’immaginario collettivo, come un “privilegio”, un “oggetto del desiderio”, che consente a persone più o meno furbe di aggirare le regole, di entrare nelle zone a transito limitato, di scorrazzare lungo le corsie preferenziali, di parcheggiare bellamente e gratis quasi ovunque.
Fin qui ci limiteremmo all’invidia, che è purtroppo un vizio umano presente fin dall’antichità, come ben sappiamo. Ma di recente questa stolta forma di invidia si sta associando a un altro stereotipo: ossia che in realtà quasi tutti coloro che utilizzano il famigerato contrassegno siano solo dei “furbacchioni”, “falsi invalidi”, oppure “biechi profittatori” di una situazione fisica che è stata certificata con troppa leggerezza.
In molti poi sono convinti che un’autovettura destinata al trasporto di una persona disabile si dovrebbe riconoscere subito, a occhio nudo. Prima di tutto dovrebbe essere, non si sa come né perché, un’auto “speciale”. Poi, sempre nella fantasia popolare, dovrebbe avere ben visibili i comandi a mano, o quanto meno una pedana per l’ingresso e l’uscita di una sedia a rotelle. Quando questi marchingegni non ci sono, o sono poco visibili, scatta l’embolo del “giustiziere della sosta”.

Non tutti sanno che il contrassegno è legittimo anche quando riguarda solo il trasporto, e non la guida, di una persona invalida. Il requisito per il suo corretto uso è uno solo: che la persona con disabilità sia a bordo, poco importa se guida in modo autonomo o se è accompagnata. L’abuso – assai diffuso per la verità – nasce e si concretizza quando dall’autovettura munita di contrassegno scendono giovanotti baldanzosi o signore in ottima salute pronte a fare shopping. Ecco, queste situazioni irritano profondamente tutti, a partire, naturalmente, da coloro che si vedono defraudati del posto riservato. Non lo nego: anch’io provo ogni tanto sentimenti feroci, pulsioni momentanee difficilmente controllabili, quando trovo i posti riservati regolarmente occupati da macchine che, a un’occhiata superficiale, mi danno l’idea di un abuso evidente.
E c’è anche il pregiudizio ormai diffuso nei confronti dei SUV e, come mi ha scritto un amico paraplegico, si è ingiusti nei confronti di quelle persone disabili che, con una vita di onesto lavoro, possono permettersi il lusso di una monovolume particolarmente bella, sulla quale magari si inerpicano a braccia, come del resto ho visto più volte fare.
Ma l’idea di farsi giustizia da soli, con una chiave, percorrendo l’intera fiancata di un’auto inerme e in sosta, magari piegando o rompendo uno specchietto laterale, e perché no?, spezzando i tergicristalli, è un basso e deplorevole istintivo desiderio che sfido quasi chiunque a negare, scagliando la prima pietra.

Il tutto si inserisce in un clima generale di rissosità verbale esasperata, di sospetti alimentati dalle tante storie di “ciechi che guidano”, di “paraplegici che camminano”, di “stampellati che girato l’angolo si mettono a correre giulivi”. Il problema, forse, è proprio questo. Stiamo attraversando una fase molto critica della convivenza civile, e la piccola storia di Firenze, se mai dovesse avere una morale, potrebbe esserci di aiuto per riportarci tutti alla calma, e a un contegno civile. Se siamo convinti di un abuso, magari, limitiamoci a chiamare i vigili urbani. Forse è meglio.

E a proposito di contrassegni, cogliamo l’occasione del testo di Franco Bomprezzi, per informare i Lettori che il 30 luglio scorso il Presidente della Repubblica ha firmato il Decreto sul cosiddetto “CUDE” (Contrassegno Unificato Disabili Europei), che finalmente – dopo tanti anni di “battaglie”, puntualmente seguite dal nostro sito – porterà anche i Cittadini italiani con disabilità a utilizzare il contrassegno azzurro valido in tutti i Paesi dell’Unione Europea. Ora l’attesa riguarda solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che speriamo di poter dare quanto prima.

di Franco Bomprezzi

Fonte: Superando.it

28/08/2012