Pescara, offerta di lavoro dal SILUS n. 1 confezionatore di carni (scad.05/03/2014)

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Approcci indesiderati, da cui è difficile difendersi. Specie quando si tratta di persone di cui ci si fida. Adriana racconta a Lettera43.it quello che le è successo.

Da adolescente pensavo che il fatto di avere una disabilità motoria fosse un grave impedimento alla possibilità di vivere una vita sentimentale e sessuale soddisfacente.
Come ogni teenager che si rispetti, indipendentemente dall’usare la sedia a rotelle, non ero contenta di alcune parti del mio corpo, il viso in primis. Oltre a ciò, possedere una fisicità, movimenti e una fonetica così differenti dagli altri alimentavano in me la preoccupazione di non essere considerata attraente. Diverse esperienze hanno però sconfessato i miei timori. Alcune sono state belle, altre meno. Ed è di queste che qui parliamo.

DISAVVENTURA NEL SOTTOPASSO. Anni fa, tornando a casa, ho trovato il passaggio a livello chiuso. Invece che aspettare il passaggio del treno come talvolta faccio, ho deciso di utilizzare il sottopasso. Era quasi ora di pranzo: scesi veloce, dribblando senza particolari difficoltà (il che non è scontato) i paletti disposti per evitare una discesa troppo ripida di biciclette e motorini.
Stavo per risalire quando mi è scappato uno starnuto e ho imprecato già sapendo che sarebbe stato duro trovare il fazzoletto in borsa.

IL BACIO CHE NON VOLEVO. «Aspetta, aspetta: ti aiuto io». La voce era di un giovane uomo, dietro le mie spalle: sceso dalla sua bicicletta si appropinquava verso di me. «Lo manda la provvidenza», ho pensato, già pronta a ringraziare.
Ma il tizio si è avvicinato ancora, un po’ troppo per uno che voleva solo aiutarmi a soffiare il naso. E ha cercato di baciarmi sulle labbra. «No!», ho esclamato decisa. «Dai, ti prego: solo un bacio», ha continuato a ripetermi più volte lui, standomi sempre sul collo. «Ti ho detto no», ho gridato cercando convulsamente di manovrare il joystick della carrozzina elettrica per ripartire e sfuggirgli.

LA PRETESA DELLA NORMALITÀ. Ma essendo impaurita i miei movimenti sono diventati più imprecisi e ho preso a incastrarmi tra i paletti. Quando finalmente sono riuscita a liberarmi e a risalire a livello della strada la vista del sole e della gente mi ha fatto stare meglio. Il tizio è uscito dal sottopasso poco dopo di me, nella direzione opposta alla mia. Si è allontanato facendo finta di niente.

Difendersi dalle molestie con armi spuntate: una volta ho dovuto fingermi sorda

Pochi giorni dopo questa disavventura, sono uscita a fare una passeggiata con un’amica. La stavo aspettando su un marciapiedi quando un signore di circa 50 anni mi si è avvicinato chiedendomi: «Me lo dai un bacio?». È bastato rispondere ‘no’ perché se ne andasse, ma ricordo di essermi domandata se in quei giorni fossi stranamente dotata di particolare fascino.
Un’altra volta, alle 23:30 circa, stavo tornando a casa, a bordo della mia carrozzina elettrica. Ero serena finché non mi si è accostato un motorino con a bordo un ragazzino adolescente, che mi ha abbordato malamente: «Me lo fai un pompino?». Alla faccia della timidezza.

LA FINTA DOPPIA DISABILITÀ. Gli animali, quando avvertono un pericolo, cercano di difendersi. Generalmente, chi non può contare sulla velocità per fuggire, scappa. Frida, la mia carrozzella elettrica, ha cinque marce e io, quella sera, stavo già usando la quinta, cioè la più rapida.
Non potendo correre più di quanto stessi già facendo, ho pensato che mandarlo a quel paese non fosse la mossa più intelligente che potessi compiere. Quindi ho usato l’astuzia: ho finto di essere sorda, oltre che disabile motoria. E ho continuato a sfrecciare, senza rispondergli. Dopo qualche altro richiamo e battutaccia, lui se ne è andato: deve essersela bevuta.

LA TENTAZIONE DELL’IRONIA. Più tardi, a casa, mi è venuta in mente una possibile risposta che avrei potuto dargli: «Ragazzo, se vuoi io ti accontento ma forse prima ti converrebbe vedere come i miei denti solitamente riducono le cannucce che uso per bere». Forse è stato meglio il silenzio: non so se avrebbe colto la mia autoironia.

A provarci sono anche persone insospettabili, persino amici di famiglia

Anni addietro, invece, quando ero più giovane, mi sono trovata in situazioni assai più spiacevoli. Amici di famiglia, di quelli che avrebbero potuto essere mio padre, per intenderci, con la scusa di aiutarmi a camminare, hanno messo le mani dove non avrebbero dovuto o hanno avvicinato un po’ troppo e in modo inequivocabile certe parti del loro corpo al mio.

ANCHE MOLESTIE VOLONTARIE. Non sono stati gesti involontari:può succedere qualche volta che, aiutandomi, gli altri entrino non intenzionalmente a contatto con zone intime del corpo, anche solo sfiorandole. Questo è normale e non lo vivo come problematico. Ma quando qualcuno ti mette le mani su un seno o sul sedere, non per ‘caso’ ma perché è proprio ciò che vuole toccare, allora è tutta un’altra storia.

IMPOSSIBILITATA A DIFENDERMI. A me è successo solo due volte e con due uomini diversi ma è stato doppiamente spiacevole: primo perché quel gesto proveniva da una persona che conoscevo e di cui mi fidavo. Secondo perché, in entrambi i casi, queste persone, per provare a toccarmi, hanno aspettato il momento in cui io fossi letteralmente (e dunque fisicamente) nelle loro mani e quindi nell’incapacità di difendermi. Se invece, ad esempio, io fossi stata seduta, nel momento in cui mi avessero messo le mani addosso, avrei potuto reagire sferrando loro un calcio o un morso.

TRAVOLTA DAL SENSO DI COLPA. I vissuti emotivi provati in queste circostanze, comuni ahimè a tutte le donne, disabili e non, sono un ancestrale nonché inspiegabile senso di colpa e la conseguente vergogna che ti frena a ‘denunciare’ la violenza subita, lieve o profonda che sia, dall’altro.
«Guardiamola dal lato positivo: lo stereotipo secondo cui i disabili sono angeli, cioè asessuati, sta scomparendo!», mi disse una volta un’amica per sdrammatizzare.
Riprendo quella battuta per una riflessione: non so se stia cambiando la visione comune rispetto alla sessualità e all’attrattiva di donne e uomini con disabilità. Se fosse così, cioè se si andasse nella direzione di ‘allargare le maglie’ dei criteri che vengono comunemente usati per definire le persone fisicamente attraenti, sarebbe certamente un cambiamento di prospettiva interessante e auspicabile.

SERVE RISPETTO PER TUTTI. Ma questo non si deve tradurre nella mancanza di rispetto del corpo altrui, né tanto meno nella violazione dell’altrui libertà di decidere come gestire la propria corporeità ed eventualmente scegliere con chi condividere certi tipi di esperienze.
Il cambiamento culturale inizia da un’educazione all’affettività e alla sessualità fin dall’infanzia: un’educazione che liberi l’identità di genere dall’ancoraggio a pregiudizi e stereotipi per focalizzarsi sia sul riconoscimento e rispetto degli aspetti comuni (primo tra tutti l’essere persona) sia delle differenze tra donne e uomini. E che valorizzi entrambi questi due elementi.

Fonte:Lettera 43

03/02/2014