Quando aveva pochi mesi i suoi genitori si accorsero che qualcosa non andava, ma finora nessun medico è riuscito a dare un nome ai suoi problemi: c’è una disabilità ma cosa li aspetta nel futuro è un mistero. Il caso della famiglia Kowalski non è però isolato: sono tanti i bambini ancora non diagnosticati. In Inghilterra e non solo
BRUXELLES – Nessun genitore accetta facilmente il fatto di avere un figlio disabile. Ma sicuramente per Catherine Kowalski e per suo marito è ancora più difficile, dato che il loro secondogenito Lawrence, due anni e mezzo, è nato con una sindrome non diagnosticata. La loro storia e la loro esperienza è raccontata nel numero 7/2013 di SuperAbile Magazine. "Era un neonato del tutto normale – racconta sua madre -: dormiva, mangiava e interagiva come qualsiasi altro bambino, una vera gioia. Poi, a due o tre mesi, ci siamo resi conto che aveva problemi a tenere alta la testa e a muoversi, non sorrideva, insomma presentava dei comportamenti anomali. Abbiamo pensato che un po’ di fisioterapia sarebbe bastata per risolvere il problema, ma le cose invece di migliorare peggioravano: Lawrence non cercava i giocattoli, non emetteva i suoni tipici di ogni bambino, non riusciva a stare seduto, non seguiva il normale modello di sviluppo dei suoi coetanei".
Dopo innumerevoli esami medici, elettroencefalogrammi, analisi del sangue, i genitori si sono sentiti dire che il loro figlio aveva sicuramente una disabilità, ma non si sapeva di quale si trattasse. A livello genetico non risultavano malformazioni note, eppure la lunga serie di sintomi manifestati dal piccolo lasciavano pochi dubbi sul fatto che ci fosse qualcosa che non andava: "La cosa più preoccupante sono le fortissime crisi epilettiche – racconta Catherine -; all’inizio non sapevamo proprio che fare. Ora Lawrence è capace di sedersi, sta imparando a gattonare, riesce a comunicare quello che vuole a gesti, anche se dice solo la parola "macchina". Però la pronuncia in modo appropriato, cioè proprio quando siamo in auto".
Nonostante i momenti difficili che hanno vissuto e continuano a vivere, entrambi i genitori hanno comunque cercato di trarre il meglio da questa esperienza: "Non sappiamo fino a quando Lawrence resterà con noi, se diventerà mai un adulto e che tipo di vita potrà vivere, quindi cerchiamo di goderci ogni secondo con lui come se fosse l’ultimo. Cerchiamo di apprezzare ogni piccolo sprazzo di felicità – confida Catherine -. Ci siamo trasferiti da Londra in un paesino in Cornovaglia, a sud-ovest dell’Inghilterra; viviamo a 50 metri dal mare. Lawrence ama imitare il rumore dei gabbiani. Qui abbiamo trovato una comunità di persone che ci aiutano molto, sono tutti gentili con noi". Paradossalmente, il bambino "ha anche rafforzato la relazione fra me e mio marito: abbiamo imparato a starci vicini nelle difficoltà e a non biasimarci a vicenda se qualcosa va storto", aggiunge Catherine, stupita soprattutto dalla reazione della primogenita Beatrice, quattro anni: "Si è sempre comportata in modo maturo. Quando suo fratello ha cominciato ad avere le prime crisi, ci ha chiesto cosa non andasse e si è subito resa conto che il piccolo necessitava di più aiuto di quanto non ne avesse bisogno lei per fare anche le cose più semplici. Ha imparato a essere generosa, ad apprezzare le differenze nelle persone piuttosto che a vederle come qualcosa di negativo, a capire che ognuno è unico a suo modo. Insomma, ha sperimentato situazioni che i suoi coetanei non conoscono".
Secondo i medici, Lawrence ha una malattia rara ancora ignorata dalla scienza. Dicono che probabilmente imparerà a parlare, ma il suo futuro resta un grande punto interrogativo. La famiglia Kowalski non è però la sola a dover combattere contro un problema senza nemmeno un nome. In Inghilterra, oltre il 30% dei bambini disabili non hanno una diagnosi specifica e centinaia, se non migliaia di genitori, si trovano nella stessa condizione di Catherine e suo marito. "Cercando su Internet sono venuta a conoscenza di una rete chiamata Swan (che in inglese vuol dire cigno), acronimo di Syndrome without a name, Sindrome senza un nome. Questo network unisce le famiglie di bambini con disabilità non diagnosticate – prosegue la madre -. Ci aiutiamo molto fra noi, condividendo sia i momenti difficili che i piccoli successi quotidiani".
Catherine ha anche un blog, in cui registra tutte le sue esperienze con Lawrence: "All’inizio lo consideravo come una sorta di diario, poi molte persone hanno cominciato a interessarsi, a dirmi che anche loro vivevano le stesse situazioni, frustrazioni, gioie; da lì è partita una comunità telematica molto attiva, che rappresenta uno strumento utile per confrontarsi e imparare dalle testimonianze altrui". Catherine non sottostima il ruolo che il denaro può giocare in casi come quello di suo figlio: "Attraverso Swan ci stiamo impegnando a essere sempre più attivi nelle attività di fund raising. Questo non soltanto perché i soldi servono a finanziare le ricerche sulle malattie rare e non ancora diagnosticate, ma anche per dare un sostegno sempre più concreto alle famiglie che si trovano nella nostra stessa condizione e che spesso si sentono perse e isolate". E sul futuro di Lawrence, la madre conclude: "All’inizio avevamo speranze che potesse addirittura guarire, ma ora conviviamo con il pensiero che la sua disabilità, qualunque cosa sia, resterà. Così ci godiamo ogni sorriso che Lawrence ci strappa".
Fonte: Superabile.it
28/08/2013