Nel café di Bologna aperto e gestito da due ragazzi sordi e già diventato in poco tempo luogo di svago e d’incontro per molti giovani della città, in programma la presentazione di un libro che consente di riflettere sul linguaggio e sulla sordità
Il prossimo 18 maggio alle ore 16 il Bar Senza Nome di Bologna, café aperto e gestito da due ragazzi sordi e già diventato luogo di svago e d’incontro per molti giovani, ospita la presentazione del libro "Lettera ad una logopedista" di Renato Pigliacampo, psicologo e incaricato di Psicologia del minorato sensoriale e di Lingua e Linguaggi per il sostegno all’Università di Macerata. Una Lettera, la sua, che già nel titolo rievoca la ben più celebre "Lettera a un professoressa" di Don Milani, dedicata "ai bambini e agli adulti che- in un modo o nell’altro- hanno vissuto come me l’esperienza del Silenzio. Ai lettori che, nelle righe di queste pagine, rifletteranno sul ‘mondo del silenzio’ come processo di rinnovamento sociopsicopedagogico della Scuola e della Persona, al fine di volgere lo sguardo attorno a se stessi per intraprendere il cammino l’un l’altro a fianco per raggiungere la cultura e la civiltà solidali", come ci spiega il professore, affetto in prima persona da un deficit uditivo.
Renato oltre che insegnante è anche poeta, autore della raccolta "L’albero di rami senza vento", di cui nella stessa giornata saranno letti alcuni estratti. Tra questi, spero, la sua bella poesia "Spazi di narrazione" che, a mio parere, ben riflette la sfida della sordità e le possibilità che apre la relazione: Quando percorro le strade/mi sembra divorare spazi/ per offrire alla terra i piedi/o al cielo le mani./ Solo a te è permesso d’invadere/con le braccia, e i baci, e il corpo che prega e segna/ il mio indicibile narrare.
Ad aprirsi tuttavia, anche alla cultura, si comincia da piccoli. Per questo Renato ci intima, con il suo libro, a non cadere in un tranello consueto, quello cioè della sordità come disabilità di "secondo grado", disabilità invisibile dove il bambino è spesso incluso, per lo più a scuola, nel recinto di una "libertà normalizzante". Visione e approccio superficiali, che se alleviano la differenza dimenticano talvolta alcuni bisogni specifici del ragazzo. Il poeta-professore è stato uno di quei bambini del Silenzio a cui si rivolge, studente ai tempi delle scuole speciali, proprio come me, fino a diventare oltre che psicologo, sociologo e dirigente ASL nella Regione Marche.
La Lis, la Lingua Italiana dei Segni, sottolinea nella Lettera, è la prima vera occasione che il bambino sordo ha per aprirsi alla vita, per mettersi in comunicazione con gli altri. "Chi fa i gesti assomiglia ad una scimmia!" afferma la logopedista chiusa e inesperta degli inizi cui Renato si rivolge, una professionista, sulla carta, che tuttavia ha come unico obiettivo la trasformazione dell’allievo in udente senza sforzarsi di apprendere insieme a lui nuove modalità di comunicazione.
Una poesia in lingua dei segni può raccontare più di mille parole se vogliamo accettare la sfida di metterci in gioco ed entrare in contatto, dentro un territorio straniero, per scoprire un’arte nuova.
E voi che lingua usate? Scrivete a claudio@accaparlante.it o sulla mia pagina facebook.
Fonte: Superabile.it
15/05/2013