Parcheggio trovato, automobile chiusa, e si può andar via. Eppoi, con tanto di contrassegno per disabili in bella mostra sul cruscotto, il problema della sosta è risolto. Ma se quel ‘contrassegno’ è solo una fotocopia, allora cominciano i guai… E neanche il fatto che la falsificazione sia evidente e autorizzata dalla titolare effettiva – come chiarisce la Cassazione, con la sentenza 42957/11 – può essere utilizzato come exit strategy.
Il caso
La vicenda nasce da una coincidenza: due automobili parcheggiate a breve distanza, con identico ‘contrassegno per disabili’ sul cruscotto. Salta all’occhio che entrambi i ‘permessi’ rechino lo stesso numero di serie. E così, guardando meglio, si scopre che in realtà quei contrassegni esposti alla verifica della polizia municipale sono solo due fotocopie del contrassegno originale. E, ancora, facendo una veloce ricerca, si chiarisce che i due automobilisti con ‘fotocopia’ sono, in realtà, figlio e futura nuora della donna a cui è stato assegnato, per davvero, il contrassegno. Conseguenze? Nessuna, in realtà. Perché, alla luce dell’accusa di falso, il Giudice per le indagini preliminari opta per una decisione che salva i due automobilisti: la falsificazione del contrassegno per la sosta delle autovetture destinate al trasporto di disabili «non costituisce reato». Per il Giudice, era acclarata l’esposizione di una fotocopia del contrassegno, ma «si era trattato di falsi grossolani» e, comunque, le due copie erano state predisposte «nell’interesse della stessa portatrice di handicap, la quale aveva ritenuto opportuno dotare di essere le vetture che venivano poste a disposizione per gli accompagnamenti di cui fruiva». A porre in discussione la decisione del Giudice per le indagini preliminari è il Procuratore Generale, che decide di presentare ricorso in Cassazione. A sostenere questa azione alcuni cardini, come la critica mossa all’assunto della presunta grossolanità nelle fotocopie del contrassegno e come la considerazione che l’esposizione di una falsa autorizzazione amministrativa è connessa all’ipotesi di reato a prescindere «dalla apposizione di un attestato di autenticità e in base alla mera apparenza della copia ed al suo utilizzo come originale». Esattamente ciò che, secondo il Procuratore Generale, si è evidenziato nella vicenda sottoposta ai giudici…
La valutazione dei giudici della Cassazione è netta: il ricorso presentato ha pieno fondamento. Per una ragione semplice: «la fotocopia di un documento autorizzativo, legittimamente detenuto, realizzata con caratteristiche e dimensioni tali da avere l’apparenza dell’originale» può portare all’identificazione del reato di «falsità materiale», anche perché «neppure al titolare del documento stesso è consentita la riproduzione in maniera da creare un secondo documento che si presenti e sia utilizzato come l’originale». Per i giudici di piazza Cavour anche soltanto «la semplice esibizione del documento falso» può condurre all’ipotesi di reato. Per questo motivo, come detto, il ricorso deve essere accolto, e la questione riaffidata al Giudice per le indagini preliminari.
Fonte: Informa disAbile
08/02/2012