Riflettori internazionali per la Costa dei Trabocchi

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“La chiave della salute è vivere pienamente la vita del corpo. Vivere la vita del corpo significa essere in contatto con i propri sentimenti ed essere capaci di esprimerli. Questo richiede che il corpo sia il più possible libero dalle tensioni muscolari che ci affliggono”

La ricerca scientifica ha ormai trovato accordo sul fatto che vi sia un forte legame tra benessere fisico e benessere psicologico (tra mente e corpo) e che vanno l’un l’altro influenzandosi sia in senso positivo che in senso negativo. Questo deve essere tenuto bene nella mente del clinico nella presa in carico di pazienti con dolore cronico o fribromialgia: una patologia così invalidante, che ha delle conseguenze spesso molto importanti nella quotidianità delle persone in termini di relazioni, vita sociale e lavorativa. Una patologia che sulla carta spiana il terreno allo svilupparsi di una sintomatologia ansiosa o depressiva.

I dati pubblicati dai ricercatori dell’Università di Pisa su Psychotherapy and Psycosomatic vanno proprio in questa direzione, sottolineando, appunto, il dialogo tra mente e corpo.

I ricercatori della Clinica reumatologica dell’Ospedale Santa Chiara di Pisa hanno studiato un campione di 48 donne affette da fibromialgia e lo hanno confrontato con un campione omogeneo per età di donne sane.  La fibromialgia è un disturbo che si manifesta con dolori diffusi, stanchezza e difficoltà di concentrazione e porta spesso a un atteggiamento negativo verso il mondo dato l’impoverimento della vita sociale relazionale e lavorativa secondario alla malattia stessa.

Questo stesso dato porta il soggetto ad una maggiore vulnerabilità nello sviluppare sintomi ansiosi o depressivi andando di conseguenza a peggiorare anche la percezione della “disabilità” causata dalla malattia in una sorta di circolo vizioso al negativo. Obiettivo della ricerca è stato valutare quanto il benessere psicologico potesse andare a incidere sulla disabilità secondaria alla fibromialgia. Per benessere psicologico si intende la sensazione di stare conducendo una vita significativa, l’avere buone relazioni amicali ed affettive, l’avere una buona considerazione di sé, oltre alla percezione di poter “controllare” la propria vita. Attraverso una serie di questionari i ricercatori hanno indagato le variabili oggetto dello studio: benessere psicologico, percezione del dolore e disabilità funzionale. I dati raccolti hanno mostrato che la depressione è un tratto significativamente più comune nel gruppo delle pazienti rispetto ai controlli sani, ma soprattutto  hanno mostrato che il benessere psicologico influenza sia il grado di disabilità percepita che la probabilità di sviluppare un disturbo dell’umore. “Avere una direzione, ovvero, programmi ed obiettivi, assieme a un buon grado di relazione e fiducia negli altri sembra prevenire una riduzione delle capacità funzionali, e questo protegge dalla depressione. Anche essere positivi e avere una buona autostima diminuisce il rischio di ansia e quindi di disturbo dell’umore” concludono gli autori.

Questi dati in un’ottica biopsicosociale di presa in carico suggeriscono che i sintomi della fibromialgia possano essere attenuati da buone relazioni sociali ed interpersonali, da una buona autostima e dall’avere degli obiettivi e propositi di vita da perseguire.

Un altro dato interessante a conferma del dialogo tra mente e corpo ci arriva dal mondo degli atleti “confrontando la percezione del dolore di 550 atleti e 330 persone con livelli normali di attività fisica, sia uomini che donne, non sono emerse differenze significative nella percezione del dolore, ma gli atleti presentavo una maggior tolleranza allo stimolo doloroso, erano, cioè, in grado di sopportare un dolore più intenso. Questo quanto emerge da un articolo pubblicato su Pain.

Lo studio ha inoltre rilevato che la tolleranza allo stimolo doloroso dipende anche dal tipo di attività fisica praticata: gli atleti che praticavano i cosidetti game sport (giochi di squadra, tennis…) avevano livelli di tolleranza variegati tra loro, mentre gli atleti che praticavano sport di resistenza avevano una tolleranza del dolore piuttosto omogenea tra di loro. Questo dato oltre ad interessare neurobiologi e fisiologi risulta essere molto interessante sul piano clinico, in quanto ci fa presupporre che un certo tipo di allenamento e certi esercizi fisici possano migliorare la percezione del dolore. Questo va a confermare i dati che ci dicono che il praticare una regolare attività fisica va a migliorare la qualità della vita delle persone che soffrono di dolore cronico, in una specifica direzione non andando a diminuire la percezione, ma aumentandone la tolleranza, rendendo, quindi, la convivenza con il sintomo più accettabile.

Fonte: Stateofmind.it

12/04/2013