Roma, da ottobre a rischio il diritto allo studio degli studenti disabili

Roma, da ottobre a rischio il diritto allo studio degli studenti disabili

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Si definisce un disturbo specifico dell’apprendimento, ovvero una difficoltà che non è secondaria a ritardo mentale, deficit o malattia. Dislessici si nasce, e non si tratta di bambini sciatti, svogliati o poco intelligenti: semplicemente, non riescono ad automatizzare la capacità di lettura, tanto che in passato la dislessia veniva chiamata “cecità per le parole”. Il disturbo – riconosciuto come tale soltanto dal 2010, con la legge 170 che obbliga le scuole a mettere in atto facilitazioni per i dislessici – riguarda più i maschi che le femmine, in un rapporto di tre a uno, e il fattore ereditario è significativo. Quasi sempre un bambino dislessico ha infatti un papà con una storia di difficoltà scolastiche e non diagnosticato, considerato che 30 o 40 anni fa non era facile arrivare alla diagnosi.
«La stima è che oggi in Italia tra il 3 e il 5 per cento della popolazione pediatrica abbia problemi di dislessia – premette Stefano Vicari, responsabile dell’unità di Neuropsichiatria infantile del Bambino Gesù di Roma dunque una cifra che varia dal milione al milione e mezzo di giovani, in ogni classe per capirci ce n’è almeno uno. Purtroppo ancora oggi, nonostante genitori, insegnanti e pediatri siano più sensibili, ci sono casi in cui si arriva troppo tardi alla diagnosi. Capita ancora di individuarla in ragazzi del liceo, bocciati più volte e considerati poco più che dei fannulloni. La tempestività nel riconoscere questi disturbi è invece fondamentale per l’efficacia dell’intervento e le possibilità di recupero: è verosimile ritenere che un 30 per cento dei piccoli dislessici riesca a recuperare, un altro terzo mantiene il disturbo in forma non grave e la parte restante non recupera per niente».
Per individuare precocemente i bambini è importante fare attenzione ad alcuni campanelli d’allarme. Senza dimenticare che la maggior parte dei piccoli dislessici ha anche problemi di ortografia o di calcolo. «Le situazioni da osservare sono molte – attacca Vicari – e sono tutte indipendenti dalla qualità dell’insegnamento, come erroneamente alcuni genitori credono. Imparare a leggere è una cosa relativamente semplice, tanto che alcuni bambini apprendono addirittura da soli e la maggior parte sa già leggere a Natale della prima elementare. Per questo, se alla fine della prima classe il bambino legge molto lentamente e male, perdendo il senso di quanto letto, con troppi errori, oppure se non riesce ad imparare le tabelline e a fare calcoli rapidi a mente, o ancora ha difficoltà nel tratto grafico, non rispetta il rigo o calca troppo la mano fino a stancarsi, allora bisogna chiedere una valutazione allo specialista neuropsichiatra infantile. Questi bambini nascono con tali disturbi, ma noi ce ne accorgiamo soltanto quando arrivano a scuola, e spesso neanche allora».
Con la diagnosi precoce, inoltre, ci sono più possibilità di recupero. Non esistono interventi di tipo farmacologico, ma di logopedia riabilitativa differenziata a seconda del tipo di difficoltà del bambino e dell’età. Sui bambini più grandicelli, da fine scuola elementare in poi, si lavora più sulla comprensione dei brani, sulle tecniche di studio, sulla costruzione di testi scritti. Trattamenti lunghi mesi, talvolta anni. «La cosa più importante – puntualizza ancora Vicari – è che i bambini non si sentano sconfitti o falliti rispetto agli altri compagni. Non sono bambini incapaci ma con una difficoltà che riguarda un solo ambito e che può essere aggirata: basta un computer che legga per loro, oppure registrare le lezioni, usare la calcolatrice o gli audiolibri, anche se purtroppo non ci sono ancora i libri scolastici. L’errore più comune è farli esercitare molto se leggono male o sbagliano doppie, accenti, apostrofi, parole plurisillabiche o poco utilizzate, l’h del verbo avere: non serve a nulla e non automatizza la funzione, è come avere una gamba rotta e camminarci molto per guarire prima, non solo non funziona ma peggiora la situazione».

di Elvira Naseli

Fonte: La Repubblica.it

14/09/2012