Nessuna gara in programma per loro. Bisognerà attendere l’edizione coreana di PyeongChang 2018 per vedere all’opera ai Giochi invernali i disabili intellettivi e/o relazionali: esclusi nel 2000 dopo una gigantesca frode sportiva, ancora aspettano fuori dalla porta
ROMA – Al via le Paralimpiadi di Sochi ma fra i circa 550 atleti presenti non ce n’è neppure uno con disabilità intellettiva o relazionale: sono ancora una volta dei Giochi off – limits per i disabili intellettivi, che non gareggiano dall’edizione di Nagano 1998 e che dovranno aspettare altri quattro anni prima di tornare a calcare il palcoscenico delle Paralimpiadi. Il loro rientro infatti è previsto a partire dall’edizione che si terrà a PyeongChang, in Corea del Sud, nel 2018.
L’assenza degli atleti con questo tipo di disabilità è dovuta ad una decisione del Comitato internazionale paralimpico che nel 2000 si trovò costretto a "cacciare" tutti i disabili intellettivi in seguito alla scandalo che aveva caratterizzato l’edizione estiva di Sydney 2000. Una vera e propria truffa, passata alla storia come una delle dieci frodi sportive più celebri di tutti i tempi. Accadde che dieci atleti su dodici della nazionale spagnola, vincitrice dell’oro paralimpico nel basket per atleti con disabilità intellettive e relazionali, in verità non erano affatto disabili: a svelare la realtà – qualche mese dopo – fu proprio uno di loro, il giornalista Carlos Ribagorda, che sulla rivista Capital raccontò per filo e per segno tutta la storia, allargando il fronte (atleti disabili "fasulli" anche in altri sport) e puntando il dito contro la mancanza di regole chiare sul tema. Dietro la vicenda, anche una bella fetta di quattrini: quelli degli sponsor sempre alla ricerca di risultati, e quelli dei finanziamenti elargiti a livello internazionale alle federazioni nazionali con i migliori risultati sportivi.
Lo scandalo, cui seguirono l’esclusione a posteriori della squadra, la revoca della vittoria e la restituzione della medaglia d’oro vinta, si è concluso giudiziariamente solo nell’ottobre scorso, oltre 13 anni dopo i fatti, con la condanna per frode dell’ex capo della federazione spagnola Fernando Martin Vicente, multato per poco più di 5 mila euro e condannato a restituire i 140 mila euro ricevuti a titolo di sussidi governativi per le attività sportive.
In quel lontano 2000, sommerso dalle polemiche e resosi conto del fatto che effettivamente i controlli sulle disabilità erano alquanto carenti, il Comitato paralimpico internazionale optò per una decisione drastica: fuori tutti gli atleti con disabilità intellettiva e relazionale dalle Paralimpiadi. In attesa di studiare la situazione e fare in modo che non potessero più esserci frodi del genere.
La messa al bando è durata un lungo decennio ed è stata revocata per la prima volta solamente due anni fa, a Londra 2012, con un primo timido tentativo di riammissione degli atleti con disabilità intellettiva e/o relazionale. "Timido" perché la loro presenza è stata limitata ad appena sette gare: tre nell’atletica leggera (lancio del peso, salto in lungo, 1500 metri), tre nel nuoto (200 stile libero, 100 dorso e 100 rana) e una nel tennistavolo (singolare). Un rientro all’insegna della cautela, per valutare sul campo eventuali problemi. Se per i Giochi estivi, dunque, la riammissione c’è stata due anni fa a Londra e verrà rafforzata a Rio de Janeiro 2016, per le edizioni invernali è ancora lontano dall’avvenire: nessuna gara è prevista a Sochi 2014, occorrerà aspettare altri quattro anni, con l’edizione coreana di PyeongChang 2018.
Nel frattempo, le regole per la "classificazione" degli atleti con disabilità intellettive sono diventate molto più stringenti: se nel 2000 ai "campioni" spagnoli era bastato presentare una semplice dichiarazione attestante la disabilità, ora ogni atleta con disabilità intellettiva e relazionale, per svolgere attività agonistica a livello internazionale e paralimpico, deve seguire le norme stabilite dall’organismo di riferimento, l’Inas, cioè la Federazione internazionale degli sport per atleti con una disabilità intellettuale (che a sua volta è componente dell’Ipc, il Comitato paralimpico internazionale). L’atleta viene sottoposto, da parte della sua federazione nazionale (in Italia, la Fisdir – Federazione italiana sport disabilità intellettiva relazionale), a due valutazioni: in primo luogo c’è una diagnosi della disabilità intellettiva secondo i criteri utilizzati dall’Organizzazione mondiale della sanità; in secondo luogo c’è una valutazione dell’influenza della disabilità intellettiva nella pratica della specifica disciplina sportiva: operazione più complessa perché richiede che si tenga conto dei contesti sociali e culturali in cui vivono gli atleti e attuata sempre secondo gli standard riconosciuti.
Detto che in Italia le cose sono ancora più controllate, perché la federazione richiede anche il possesso del certificato di "idoneità allo sport agonistico adattato ad atleti disabili" e che per gli atleti con sindrome di Down (categoria C21) è prevista anche la valutazione della mappa cromosomica e del certificato medico attestante la presenza o meno di instabilità atlanto-assiale, fra le discipline invernali nel nostro paese la Fisdir segue direttamente lo sci alpino e lo sci nordico, mentre delega alla Federazione hockey le gare di questo sport.
Fonte: Superabile.it
07/03/2014